23/03/09

Sabato 21 Marzo 2009 Equinozio di primavera!
Eccomi qua, di fronte a questo foglio vuoto come di fronte a voi che non conoscete nulla di me… né io di voi. E’ un periodo che mi gira per la mente e per il cuore una domanda, un dubbio, un qualcosa che non so definire che riguarda il parlare, l’esprimermi. I mal di gola, i suoi incessanti bruciori, i discorsi che sento e che leggo, tutto mi riconduce qui: a questo foglio bianco su cui potrei esprimermi ed alla mia ritrosìa nel farlo. Parlare di quello che sento a tratti mi terrorizza. Talvolta anche con le persone a me più intime, ma soprattutto con gli amici, le amiche, le persone che incuriosite mi si avvicinano. Abbassare il velo (una volta era un muro fortificato!) che separa la mia anima dagli altri mi spaventa moltissimo. Mi espone all’incomprensione, alla derisione (…il sentirmi ridicola!), al sentirmi noiosa o “pesante”. Mi ci vuole tempo per scoprire l’evento scatenante di questi timori... ed una volta trovato l’incipit non è che automaticamente mi si scioglie la lingua! La paura irrazionale può restarmi a lungo, forse sempre. Deve intervenire la scelta quotidiana. L’ho sperimentato anche in altre cose: funziono così! A volte c’è anche un senso di inutilità del dire. A che serve parlare, dire la mia? Talvolta sull’onda dell’entusiasmo non freno la lingua in tempo e la creatività ha il sopravvento: parlo, esprimo le mie idee, i miei progetti… e la reazione che incontro negli occhi e nel corpo degli altri quando non direttamente nelle parole e nei fatti è un ritrarsi. Una diga che argini quel fiume in piena uscito da chissà dove in maniera inaspettata. Forse è solo spiazzamento ma pian piano imparo a parlare sempre meno e solo quando esplicitamente richiesto. E’ difficile dire solo quello che gli altri vorrebbero sentire come quantità e qualità. Io per esempio non mi reputo molto spiritosa. Invece le battute sarebbero un parlare graditissimo dai miei interlocutori medi! Forse perché permettono di stare sul superficiale. Forse perché scoprono un pezzetto di cuore senza doversi mettere troppo in gioco. Non lo so. Il parlare di cui ho sete io è la narrazione del cuore, della propria storia, della propria esperienza e della comprensione di essa per limitata e parziale che sia. E’ quel parlare che non chiede in risposta un :«Sì, giusto!» o «No, sbagli perché…». E’ quel parlare che parla a se stesso e fa crescere e che chiede al silenzio ed all’accoglienza di fargli da specchio perché si possa conoscere. Una volta in un libro ho letto (questo è quello che ho capito e che ricordo, almeno) che le prime parole del bambino catalogano il mondo, poi glie lo fanno conoscere. Infine nasce il pensiero e quelle parole iniziano a parlare da sé e di sé. Fioriscono i pensieri. Sono io che mi conosco con quelle parole nel momento stesso in cui le pronuncio… e poi dico che sì, interessante questo, non ci avevo mai pensato! A me capita spesso. E’ quel parlare che ha sete di altri cuori che parlano di sé, della loro vita, della loro esperienza, della loro storia. Di quel contatto che è conoscenza di episodi. Pian piano tanti episodi dipingono un’anima. Il tacere lo conosco. Vorrei provare a raccontarmi per vedere che succede al di là di quel velo se mi allungo a toccare e farmi toccare dai miei simili. E’ una speranza per le persone di cui mi prendo cura: che ci si possa realmente mettere in gioco per crescere insieme a qualunque età. Questo chiedo a chi avrà la voglia di entrare qui: ascolto e rispetto. Senza giudizio nel limite di quello che è capace. Questo offro a chi avrà voglia di scrivere qui: ascolto e rispetto. Senza giudizio nel limite di quello che sono capace. Come compagni di preghiera o di una passeggiata in montagna in ascolto ciascuno di quello che il vento ed il proprio cuore suggerisce. Ed ha voglia di narrare.

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