06/11/09

Arkeon, le spese (o i guadagni) folli ed il CeSAP

venerdì.
Cari tutti, l’aspetto che proprio non mi va giù, è quello dei soldi spesi (rubati, secondo certi intervistati, alcuni dei quali si aspettano una restituzione delle somme pagate) in Arkeon. Faccio ancora riferimento alle dichiarazioni delle presunte “vittime” rilasciate nelle trasmissioni apparse in TV e linkate sul blog “Il caso Arkeon” nonché in svariati blog (in particolare, in questo caso, quello di Pietro Bono) e forum come quello del CeSAP. Facciamo un po’ di conti. Se eri ri-frequentante pagavi 110 € per ogni seminario di primo o secondo livello che fosse. Che tu venissi solo o presentando amici l’importo era lo stesso e la cosa - a me personalmente - ha dato la tranquillità di sapere che c’era l’onestà di non “comprare” partecipanti con uno sconto. I seminari di primo livello si tenevano il sabato e la domenica, gli altri il lunedì ed il martedì a seguire per cui uno - se voleva parteciparvi - doveva anche decidere di chiedere ferie. Ed ottenerle. Tutto era preceduto il venerdì sera da una presentazione gratuita durante la quale Vito Carlo Moccia (perché io solo i suoi seminari – lo ripeto – ho frequentato) raccontava un po’ di sé, dei suoi pensieri e delle sue riflessioni in quel dato momento della sua vita, e poi chiedeva a ciascuno di presentarsi: quelli “vecchi” erano invitati a raccontare come erano arrivati a questo “lavoro” e che esperienza ne avevano avuto; quelli “nuovi” a dire come ne erano arrivati a conoscenza e –se volevano- perché erano lì, cosa cercavano. Dico “li invitava” perché c’erano tante variazioni sul tema quante le persone sedute in cerchio ed io stessa, più di una volta, ho parlato di quello che mi frullava per la testa in quel momento più che della mia esperienza (alla faccia del guru che manipola le menti ed impone il suo volere!). Una volta addirittura (era un periodo per me un po’ critico e piangevo ogni due per tre) scoppiai in lacrime disperata ed, il giorno dopo, di quei poveri sfortunati che si erano affacciati alla presentazione non ne vidi nemmeno l’ombra! …Ovviamente nessuno mi disse mai “Bé” per la scenata della sera prima e credo che anche oggi, leggendo queste righe, mi direbbero che sono una sciocca a pensare così: non sono venuti perché non volevano venire, punto e basta. E concordo con loro. Comunque. Finito il giro di condivisioni Vito diceva gli orari ed i costi del seminario per quelli che il giorno dopo avessero voluto prendervi parte. Ora mi si deve spiegare bene cosa c’è di coercitivo in tutto questo. Come è possibile che uno che abbia seguito i seminari di Vito (o di maestri che si siano comportati con la stessa correttezza) possa affermare di non aver saputo dei costi o di essere stato costretto a frequentare i seminari pagando al di sopra delle proprie risorse finanziarie? (In effetti, a ben pensarci, i testimoni delle trasmissioni non hanno mai detto di aver partecipato ai seminari condotti da Vito Carlo Moccia… ma poi è a lui che vengono attribuiti tutti i reati a basarsi solo sulle parole dei vari giornalisti… gli saranno stati imputati davvero se non li ha commessi? O è un modo scaltro di usare il non detto facendo in modo che l’altro inferisca ciò che voglio senza che io abbia dovuto espormi mentendo? …Un po’ come le immagini della donna che accarezzava l’uomo mentre la Tinelli parlava del “bombardamento d’amore” tacendo però il fatto che quelli erano madre e figlio…) Dunque. Potevi scegliere la città per te più vicina entro alcune disponibili. Ne conoscevi le date e gli indirizzi perché erano pubblicati in internet. Le porte erano aperte a tutti quelli che desideravano entrare o andar via, anche prima che fosse finito il seminario o arrivare a seminario avanzato. (A proposito, com’è che il dott. Schimera dichiara di non aver potuto infiltrare nessuno dei suoi uomini per raccogliere informazioni? Certo, venivi registrato con i tuoi dati ed un recapito, ma mi sembra il minimo! Peraltro senza mostrare documenti di identità… e comunque è un ostacolo aggirabile per qualcuno del mestiere). Ma non divaghiamo. Dicevo. Tu potevi scegliere ogni volta se frequentare solo il primo livello, solo il secondo o tutti e due. Ricordo che quando presi il primo livello (cioè la prima volta che frequentai un seminario di Arkéon) l’importo per le mie tasche era alto perché avevo appena cominciato a lavorare. Decisi allora di non pensare nemmeno lontanamente al secondo livello per un bel po’. Nessuno mi chiese mai nulla. Anche in seguito ho scelto più volte di partecipare solo al primo livello o solo al secondo. Lo stesso quando mi sposai. Ad un certo punto, per realizzare i nostri progetti di famiglia, decidemmo di diradare la frequenza (cosa che poi non fu necessaria giacché furono interrotti i seminari a causa della vicenda mediatica prima e giudiziaria poi). Intensivi da 1100 euro? Sì, ma per 5 giorni e vitto, alloggio e strumenti di cancelleria o quant’altro incluso! A me non sembra tanto in assoluto. La questione è se è tanto per il mio portafoglio, ma è per questo che ne ho seguiti tre in sei anni! Certo che se uno non sa gestire le sue spese, poi non se la deve prendere con gli altri! Nessuno controllava lo stato del suo conto corrente tranne – forse – lui stesso. Né si può dire che è plagiato per questo, altrimenti i negozi che spingono ad acquistare a credito elargendo prestiti per somme al 50% dello stipendio finirebbero tutti indagati come psico-sette! Vogliamo parlare seriamente di chi si è indebitato? Non escludo che avesse manie di grandezza e non vedesse né rispettasse i propri limiti. Probabilmente non aveva accanto a sé un coniuge che fosse di sostegno nella gestione economica familiare. E’ una realtà triste ma spesso vedo persone con le braghe a toppe perché non vogliono rinunciare ad uno stile di vita che non si possono permettere. Né hanno l’umiltà di chiedere ed ascoltare il parere di chi gli sta intorno. I famosi “no” che fanno crescere dovremmo anzitutto dirli a noi stessi. Ho ammirato molto la vicina di casa che ha insegnato questo a suo figlio con l’esempio: rinunciando ad un cappottino che le stava benissimo - ed al quale, tutto sommato, avrebbe potuto accedere senza un sacrificio troppo grande - perché non era necessario ed in questo momento è meglio risparmiare! Ma è così su tutto! E’ il buon senso: le uscite non devono superare le entrate. O almeno non per molto tempo e non se non ho delle riserve congrue da parte. Altrimenti o lavoro di più o spendo di meno. Se io intraprendo un percorso come Arkéon per conoscere più a fondo me stessa nel confronto con l’esperienza degli altri, per fare un pezzo del mio cammino che… sento che passa proprio di lì, ho anche la fiducia che quello che raccolgo in quel sentiero lo saprò usare e spendere bene anche lontano da lì. Anche senza frequentare tutti i seminari. Sto investendo su me stessa. Se poi voglio risparmiare ulteriormente mi porto il pranzo da casa, chiedo a qualche amico o parente di ospitarmi e se nessuno può o proprio non ci rientro con i soldi, ci rinuncio e vorrà dire che questo è ciò che è buono per me in questo momento. Sarà “il mio seminario”! Quante volte l’ho fatto! Tasche bucate, voglia di vivere al di sopra delle proprie possibilità, insicurezza profonda mascherata da ostentazione di ricchezza, io non lo so, ma di questo non credo si possa accusare né Arkéon in sé né il maestro che si comportasse come io ho visto comportarsi Vito. Semmai ci si faccia l’esame di coscienza. Io cambiali per Arkéon non ne ho mai pagate né ho mai aperto prestiti per questo, e di certo non ho mai navigato nell’oro né sono una contabile nata.

01/11/09

Arkeon, l’uso delle immagini ed il CeSAP.

domenica, 1 novembre 2009
Cari tutti, ho avuto modo, ultimamente di guardare con calma i video e – laddove ci sono - le sbobinature delle trasmissioni apparse in TV e linkate sul blog “Il caso Arkeon” . Alcune le considerazioni che mi sento di fare in proposito. Se si legge solo il testo già di per sé ci sono affermazioni della cui veridicità ed onestà dubito ma che sono state rese di grande impatto con un uso molto accurato delle strategie comunicative. I miei complimenti alla regia. Però c’è un detto: "il diavolo fa le pentole ma non i coperchi". Come a dire che chi ha dubbie intenzioni può sì cucinare le informazioni come preferisce, ma non può impedire che la verità esca fuori dal contenitore nel quale l’hanno nascosta, perché il coperchio non c’è e chi vuole può metterci il naso e vedere. La domanda diventa piuttosto:
CHI vuole?
- Quando la persona di riferimento per molti (perché ideatore del “metodo”), Vito Carlo Moccia, è ripetutamente inquadrata associandone il volto, le fattezze e perfino l’andatura al nome non solo pronunciato ma ripetutamente scritto; - quando ne vengono rivelati dati sensibili come l’identità, la residenza, il titolo di studio, vengono mostrate foto della sua famiglia e via dicendo ad una settimana di distanza dall’inizio delle indagini sul suo conto PRIMA ancora che i reati ipotizzati vengano confermati con un rinvio a giudizio; - quando anche la stampa ripete a tamburo l’informazione di una setta “sgominata” accompagnandola con immagini di uomini incappucciati come nel Ku-Klux-Klan, di stelle a cinque punte o di riti satanici; - quando i visi di molti partecipanti ai seminari sono stati resi agilmente riconoscibili e sbattuti in prima serata come aderenti ad una pericolosa psico-setta sulla quale sta indagando la Polizia (o peggio “sgominata” dalla Polizia a detta di alcuni quotidiani); Quando tutto questo avviene, passa velocemente la voglia di mettere il naso da qualche parte (… si dice "colpirne uno per educarne cento"?). …No no! Me ne starò qui buono e caro nella speranza di non essere stato notato. Muoverò le acque il meno possibile cercando quasi di non respirare perché se no, sai che guai passo sul lavoro? …E la mia famiglia come va avanti senza lo stipendio? …Sì, ma io non ho fatto nulla di male! Non succedeva nulla di male in quei seminari, io lo so, c’ero! …Sì, ma chi mi crederà? Come glielo spiego io, quando la voce che accusa ha il nome di un “Centro Studi” sulle sette, ha dalla sua la Digos, la televisione, la stampa, le mamme tristi con la voce piangente, le “vittime”… che fanno tanto audience! A me, chi mi crederà? Chi mi ascolterà? Guarda già sul forum del “Centro Studi” come hanno maltrattato chi ha osato parlare bene della sua esperienza in Arkeon! …alla faccia del “Centro Studi”! Sono paure che ogni tanto ho anche io nel riguardo dei vicini, della mia comunità, del luogo di lavoro… dei miei parenti perfino! Poi mi dico che le persone mi conoscono, che non si lasceranno ingannare dalle menzogne… ma così spesso le persone non conoscono con il cuore nemmeno i propri familiari più stretti, che vuoi che stiano ad ascoltare cosa conoscono di me.
Il loro spirito critico resterà a dormire sul divano tenendo il telecomando in mano.
Si fideranno della TV come fanno tanti. Nel merito dei video, le immagini parlano moltissimo. E’ cosa abbastanza nota che – per esempio - le parole “hai ragione” contengono un messaggio che può essere completamente stravolto da uno che scuote le mani giunte come a dire: “Ma dove? Ma quando mai?”. Lo si vede costantemente fare nei dibattiti politici. Osservare come nei servizi sono state usate le luci, le coperture dei volti, gli spazi ampi o ristretti ed affollati di carte, l’oscuramento dei volti e dei nomi o il loro non oscuramento… persino le musiche, le pause e l’intonazione è… illuminante. Mi fa passare anche la rabbia per quelle che io riconosco come falsità montate ad arte. Mi passa la rabbia e mi viene da ridere come quando vedi un mostro e passato lo spavento iniziale lo osservi bene e ne vedi la bruttezza ridicola alla luce del sole… ed allora ridendo trovi il coraggio di indicarne la realtà anche agli altri che passano. Hanno usato immagini di Arkéon per supportare, per esempio, la teoria del plagio tramite “bombardamento d’amore”. Per chi non era in quel seminario, la donna che accarezza il giovane può essere un maestro che lo vuole circuire… ed invece è la madre dell’uomo con la quale il giovane si sta riconciliando! L’anziano uomo seduto al centro di un cerchio nelle cui braccia si lancia una giovane donna, è il padre di quella donna la quale finalmente può piangere pacificata fra le sue braccia! …alla faccia di quelli che separano genitori e figli! Io di queste riconciliazioni ne ho viste tante. Per tanti di loro ho pregato - mentre erano in quel cerchio - che vincessero il loro orgoglio, il risentimento, il bisogno di essere “risarciti” delle ferite ricevute e che trovassero la pace ed il coraggio di afferrare quelle mani ed abbandonarsi a quell’abbraccio. Ancora. Visi di donne in lacrime usati per sottolineare la denuncia di “violenze subite di natura psichica ed anche fisica”. Ma le lacrime dei seminari scendevano ricordando la propria storia passata di solitudine o di liti con la famiglia, di non comprensione. Alle volte si piangeva mani nelle mani con il proprio compagno/compagna; erano il dolore interiore per una distanza, erano la gioia per la fine del dolore dovuto ad anni di separazione dal proprio cuore, erano sentimenti, non paura! Parlo –sia chiaro- dei seminari condotti da Vito Carlo Moccia perché quelli ho frequentato e trovo corretto (io) parlare solo di ciò che ho vissuto guardandomi bene dall’estenderlo a tutti (come invece avviene nelle trasmissioni con l’uso delle dichiarazioni dei testimoni della parte accusante). E’ chiaro che chi vede i servizi senza saperne nulla e con solo una fonte di informazione (che per giunta sostiene la tesi della cattiveria di Arkeon) non può vedere la realtà dei fatti.
Molte cose estrapolate vogliono dire una cosa o il suo contrario. E’ l’immagine.

11/10/09

domenica, 11 ottobre 2009
Cari tutti, è veramente tanto tempo che tengo chiusa ai vostri occhi la porta dei miei pensieri. Sono stati mesi impegnativi quelli passati dall’ultimo post. Dapprima è mancato il tempo per ascoltare il mio cuore. Troppo pressanti le richieste del quotidiano. Poi una breve vacanza molto rigenerante nel corpo e nello spirito. E di nuovo un tuffo nella routine frenetica con di fondo l’esigenza di non tornare a chiudere questo dialogo. Sono molto soddisfatta di quello che ho fatto in questo tempo. Aiutare i bambini a comprendere, a coltivare lo spirito civico, il rispetto per l’ambiente che ci circonda, per le persone e per le cose che vengono loro offerte è forse una delle fortune più grandi che mi siano capitate. E’ anche una responsabilità notevole perché richiede ascolto di sé e degli altri. Non solo delle parole, ma dei movimenti del cuore, dei ricordi di quando ero bambina anche io. Di cosa ho provato e di cosa provo. Mi richiede di mettermi nei panni di chi è molto diverso da me, tanto diverso che mi fa paura. Tutto questo per fare da “ufficio informazioni” in maniera un po’ più utile: “Sì, guarda, questa strada porta di là. Mi ricordo bene, ci sono stata anche io”. Quando però quando guardo il “mondo adulto” che li nutre, come vi viene esercitato il senso di giustizia che è inscritto nel cuore di ognuno di noi, mi corre un brivido per la schiena e veramente auguro a questi germogli di non bruciarsi alle gelate improvvise di cinismo e cattiveria, ma di riuscire a sbocciare a tempo debito spandendo un sano profumo di onestà. E’ pensando a questi giovani che sento ancor più grande rispetto ed enorme gratitudine per tutti quei Giudici che onorano la Legge, la ritengono “uguale per tutti” e giudicano secondo la Verità dei fatti e non tutelando semplicemente il tornaconto di qualcuno di “utile” o “potente”. Che stimo i Medici che difendono la Vita e non gli interessi economici di questo o di quello. Che stimo i Giornalisti che scavano nell’apparenza degli “spot pubblicitari” di questa o quella parte ricercando la realtà dei fatti e mettendo in evidenza le contraddizioni. Stimo i Comici e tutti i comuni cittadini che fanno -nonostante tutte le difficoltà- satira politica perché è lo strumento che “svela il senso, o il nonsenso, morale delle scelte politiche” (“L’elefante invisibile”, Giuseppe Mantovani, 1998 Giunti Ed., pag.40) Li rispetto perché oltre ad agire con rettitudine per onorare la propria coscienza, sono un esempio… ed un cattivo esempio può cancellare in un istante milioni di buone parole. E’ importante che ce ne siano di buoni. Sono merce rara e preziosa. Sono come quei rituali che non siamo in grado di rispettare ma verso cui tendiamo, quelle stelle polari che ci indicano la direzione. Ecco ciò che penso: l’imprenditore che si fa solo i fatti suoi, che arricchisce senza chiedere scusa quando calpesta gli altri, il mafioso che comanda, che usa la sua tanta furbizia solo a suo tornaconto e contro il bene di tanti altri, è “un cretino”. Si perde il senso dell’essere Umano. Disperde quell’informazione che conserva la specie Uomo da secoli e, diffondendo il suo stile di vita, la spinge verso la progressiva estinzione. Come un virus che si nutre dell’organismo che lo ospita ma quando ne ha sterminato la specie, ha alte probabilità di morire con lui. Prestiamo attenzione a cosa per noi è veramente importante, ai valori che trasmettono le storie “epiche” che raccontano molti dei telefilm di oggi… Sono ben lontani dal coraggio e dalla generosità di Robin Hood, D’Artagnan, Ivanhoe, Pulzella d’Orleans, Sandokan e compagnia bella! Per proteggere le nostre piccolezze dallo sguardo altrui, rischiamo di non chiamarle più con il loro nome e di abilitarle a valori per non far brutta figura. E’ questo è l’insegnamento di cui stiamo -nei fatti- nutrendo i nostri giovani! …E vista la qualità dell’alimento chissà come ci tratteranno quando saremo vecchi… “La contraddizione tra il rituale e la vita di ogni giorno conferisce tensione all’esperienza quotidiana, che è dilaniata tra i due poli di ciò che le persone pensano che si dovrebbe fare e di ciò che esse riescono effettivamente a fare nelle concrete situazioni della vita. Una cattiva coscienza, sembra dire il rituale, è meglio che nessuna coscienza”. (“L’elefante invisibile”, Giuseppe Mantovani, 1998 Giunti Ed., pag.36)

13/06/09

Sabato 13 Giugno 2009 S.Antonio da Padova

Cari tutti, questa settimana ho fatto un po’ di pulizia nelle mie carte “storiche”. Ho trovato questo raccontino che trascrissi quando ero ragazza (purtroppo senza segnare né autore, né fonte… sorry!): “Ad un contadino sfuggì un cavallo. La sera i vicini si riunirono per commiserarlo per ciò che era considerato una malasorte. Egli disse: «Può darsi». Il giorno dopo il cavallo ritornò, ma portando con sé sei cavalli selvaggi, ed i vicini arrivarono acclamando una simile buona sorte. Egli disse: «Può darsi». E poi, il giorno dopo, suo figlio cercò di sellare e di montare uno dei cavalli selvaggi, ma cadde e si ruppe una gamba. Ancora i vicini vennero ad offrire la loro partecipazione affettuosa per la malasorte. Egli disse: «Può darsi». Il giorno dopo, gli ufficiali incaricati della coscrizione vennero al villaggio per scegliere i giovani da mandare sotto le armi ma, a causa della gamba rotta, il figlio del contadino non venne preso. Quando i vicini vennero per esprimere quanto fortunatamente fossero andate le cose egli disse ancora: «Può darsi»”. E’ un po’ ripetitiva ma mi piace molto. E’ come a dire: “Non tutto il male vien per nuocere”. Speriamo bene :-) !

06/06/09

Sabato 06 Giugno 2009
Cari tutti, oggi leggevo l’ultimo post di Klee. Riporto qui di seguito il mio commento (per una volta breve, speriamo che non nevichi!): “Caro Klee, ti dirò di più: per me non "potremo" uscirne scavalcandoci l'un l'altra. Noi donne abbiamo delle risorse e voi uomini delle altre. Lo sperimento nella mia vita di coppia. L'unico modo per far procedere la barca è che ciascuno dei due generi metta a disposizione dell'altro il proprio talento e che cerchi di integrare (nel limite di ciò che è giusto e possibile) la ricchezza che l'altro porta. E' lo stesso discorso che vale all'interno delle famiglie, delle coppie, dei luoghi di lavoro, delle culture.” Ho visto anche io la puntata di ieri di “Otto e ½”.
Perché fare le domande se si sa già quale ed unica risposta si è disposti ad accogliere? A me ha colpito tanto che quella giornalista di AlJazeera non è stata ascoltata per nulla! La sua osservazione che il problema non è l’Islam ma la mancanza di democrazia è stata ripetutamente ignorata. E’ assolutamente vero che al tentativo di contrapporre uomini e donne lei ha risposto che è tutta la barca che affonda, non è la questione di chi si prende un sedile o l’altro…
Non conosco il Corano. Sto leggendo la Bibbia e non l’ho ancora finita: poi forse potrò passare al testo sacro delle altre culture. Ho però avuto la fortuna di lavorare (per poco, purtoroppo) in scuole composte da marocchini, egiziani, rumeni, cinesi, argentini ed italiani. E’ una ricchezza enorme anche dal punto di vista didattico. Certo che richiede più tempo per la preparazione delle attività educative, la richiesta di “aiuto” anche da parte dei genitori che parlano lingue a noi sconosciute, la fatica di sedersi nel banco con davanti l’alunno che sconsolato dice che non riuscirai mai ad emettere quel loro suono a te sconosciuto, di mettersi sempre in campo per conoscere e valorizzare le feste dei nostri “co-inquilini”... ma è esaltante ed arricchente a mio parere molto più che nelle scuole composte da soli italiani.
In fondo se vediamo l’Italia come un condominio forse è più facile: per prima cosa non è né mio né tuo ma di tutti quelli che ci abitano e che contribuiscono al suo mantenimento. C’è un regolamento scritto che tutti devono conoscere e rispettare. Ci sono degli usi consolidati tra gli inquilini più anziani ma non è detto che nulla debba cambiare con l’arrivo dei nuovi! Ci si conosce pian piano, alcune tradizioni si affiancano, si fondono, altre scompaiono. Se so cosa sono disposto ad accettare e cosa no è tutto più facile.
Alla fine è questa la questione portante: cosa è fondamentale per me? Se lo è realmente l’altro lo sente. Se ci credo sul serio l’altro lo rispetta (a meno che non mi voglia provocare… ma in questo caso comunque non mi può smuovere). Mi faceva ridere sentire mio padre che difendeva i crocifissi nelle scuole, lui che non crede in Gesù Cristo come Figlio di Dio. E’ ridicolo anche per me! E’ a ragione sentito come il pretesto che fa infuriare l’altro! Perché a Natale non posso far disegnare la Sacra Famiglia se ci sono bambini di altre culture? Se credo nel Natale come festa religiosa è giusto che io lo faccia restituendo al 25 Dicembre questo senso… che forse è più comprensibile ad un buddista, islamico, ebreo, induista e quant’altro di quanto non lo sia chiudere le scuole solo per i regali, babbo Natale e l’albero con le lucette. Posso però, quando c’è qualche festività importante della loro cultura, organizzare una lezione speciale per farla conoscere agli altri così come si fa per Halloween della cultura anglosassone durante le ore di inglese. Se mi conosco e conosco chi ho accanto ho meno motivi di temerlo.
“Le ombre ed i fantasmi della notte sono alberi e cespugli ancora in fiore…”
(“La canzone del sole”, L. Battisti)

29/05/09

Venerdì 29 Maggio 2009
Cari tutti, è un po’ di tempo che ascolto quanto mi uscì di getto ormai quasi due mesi fa. “Mie care sorelle, mie amate compagne di viaggio. Ragazze, giovani donne. Mia stessa carne. Che dolore mi lacera la pancia ed il cuore questa sera… Ho visto dei vostri filmati, ho sentito delle vostre preghiere ed il dolore è immane. Voi tutte che invocate la dea Ana o la dea Mia come salvatrici che, uniche, amano la vostra vita e che uniche voi amate… vi prego, fermatevi. Vi offrite ed amate chi in realtà vi distrugge. Chi vuole la vostra morte. Quelle dee in realtà sono demonio che si nutre di voi e vi getta via quando non gli servite più. Vi sottrae non vi dona libertà. Voi siete perle preziose per cui dare la vita, non alla quale chiedere e togliere la vita. Quell’armonia e quella leggerezza cui anelate è racchiusa nella vostra anima: è la bellezza dei vostri cuori. Chi vi vuole morte lo sa e la teme, per questo vi spinge ad inseguire una falsa ombra. Per questo vi nasconde la vostra bellezza: gli fa paura! Io non so come siete arrivate a questo punto. Non conosco le vostre storie. Non ho vissuto il vostro dolore. Forse l’ho sfiorato da lontano quando mi sono sentita un peso di cui dover sgravare gli altri. Non l’ho scelto come voi. Non ho rifiutato di ingerire il cibo né l’ho mai rimesso a forza. Il mio corpo l’ha fatto per me non tollerando più niente o quasi. L’amore di chi ho vicino, il vedere il suo dolore per il mio spegnermi mi ha riportata indietro. Grazie a Dio ho sentito e visto il suo dolore e mi ha risvegliato. Come quel tale che è sceso nell’Ade per riprendere il suo amore. Grazie a Dio non mi sono voltata indietro ed ho rivisto la luce del sole. C’è un Amore che piange per voi, per la vostra dipartita. Per la vostra sofferenza. Anche il mio cuore di donna, di compagna di viaggio, di sorella, piange per voi da questa sera… Vi voglio bene e prego per voi. Qualunque sia la vostra scelta. (Aprile 2009)” Non lo pubblicai, ma lo lasciai in sospeso perché non riuscivo a capire da dove venisse il mio essere così tanto sconvolta dall’aver visto e sentito l’audio del blog di alcune ragazze che adorano la “dea Ana” (=anoressia) o la “dea Mia” (=bulimia). Cos’ho capito? Mah, …forse poco. C’è una parte di solidarietà con tutto il femminile che mi fa pregare e sospirare nella speranza che possiamo guardarci allo specchio ed amarci e perdonarci e riconoscere la preziosità che è racchiusa in ogni vita e quindi anche nella nostra. Quella pace e fiducia in sé che poi ci permette di specchiarci le une negli occhi delle altre tendendoci la mano senza tenere con l’altra il coltello nascosto dietro la schiena. Mi rendo conto che spesso le rivalità sono tante ma sono per lo più frutto di paura o fraintendimenti. Anche io ne ho parecchie e fatico assai ad incontrare a cuore aperto le mie simili e quindi me stessa. E’ sempre la difficoltà di sospendere il giudizio, di non mettere prima di ogni cosa le mie esperienze pregresse o forse il conoscere quali sono state per riconoscerle quando sbucano fuori all’improvviso e poter scegliere di non replicarle (almeno provarci). C’è anche la grandissima difficoltà del vedere che l’altro mi cerca perché mi trova “una bella persona” ed ha piacere di aprirmi il suo cuore… Di fondo c’è sempre che siamo parti di un unico organismo e non credo che potremo essere in pace con noi se non lo siamo con i nostri simili e viceversa. Per cui nel cuore la mia preghiera è per “il cerchio delle donne”. Di tutte. Ovviamente c’è di più. Penso a quella “fede” nella quale sono cresciuta io. Non dico che sia quella cattolica “doc”, ma l’ho trovata spesso anche negli altri. Un giorno il vice parroco della chiesa che frequento disse che, insomma, non c’era nulla di male nel desiderare di morire presto per raggiungere Dio… peccato che non riesca nemmeno a guardare in faccia i suoi parrocchiani! E’ più o meno questa “versione” a cui alludo. Io ricordo di quando da ragazza non vedevo l’ora di morire ed ero tutta proiettata verso l’aldilà sfuggendo la vita “di qua”. Chi mi ha conosciuta non poteva non sentire quanto stessi costruendomi una “morte giovane”. Santa Maria Goretti ed altre anime candide trapassate in tenera età immolando la loro vita per Dio e per gli altri erano il modello al quale mi ispiravo. Non che oggi non ci siano delle ricadute legate per lo più a “nodi” della mia vita che non ho mai visto né sciolto e che ogni tanto (per fortuna) vengono al pettine… …E’ che leggere quelle preghiere mi ha spaventata molto perché mi ricordavano le mie. Io ebbi la fortuna di trovarmi un rosario tra le mani e quindi tutto quel desiderio è andato verso il Cielo, verso una Madre Sacra che ho palpabilmente sentito vicina (e ne sento ancora la protezione) e che mi ha sostenuta con la sua preghiera ed accompagnata a passi lunghi verso la vita su questa terra che il Signore mi ha donato. Verso la costruzione.Il mio dolore per quelle ragazze è che inviano tutto questo loro grido di aiuto, di ricerca disperata di amore, di accettazione, verso un buco nero, verso il basso… che giocoforza le porta ancora più giù…

19/05/09

lunedì, 19 maggio 2009
Cari tutti,
mi è stato segnalato questo blog che con piacere metto a vostra disposizione.
Faccio questa scelta perché credo nella libertà di parola e di difesa, raccontando ciò che si è vissuto e si riconosce come vero in un modo semplice ed onesto: come quando si spazzolano i capelli e scorrendoli tutti si lascia che i nodi vengano al pettine.
Riporto qui di seguito il contenuto della pagina iniziale:
“Arkeon è una psicosetta i cui vertici sono stati condannati e incarcerati per truffa, associazione a delinquere e violenze”. Per chi non sappia cos’è stato Arkeon, questa è la verità su Arkeon. O quantomeno questa è la sola verità reperibile in rete, sulla stampa o dalla televisione. Tuttavia questa verità è falsa. E’ quella che si chiama una “verità mediatica”. Creata su una parola (psicosetta) che probabilmente non avevate mai sentito e che dovrebbe spiegare il significato di un’altra parola (Arkeon) che continuate a non conoscere, ma rispetto alla quale avete ormai una fondata diffidenza. Una parola (psicosetta) talmente forte da cancellare la verità giudiziaria, che a distanza di due anni non ha prodotto alcun arresto o condanna semplicemente perché ancora non si è deciso se debba esserci alcun processo. Talmente forte da spingere tutti i media a riportare supinamente notizie di cronaca locale mai verificate da nessuno.Talmente forte da aver impedito che alcuna voce contraria potesse essere udita. In effetti, una verità “virtuale”, se non per le molte persone colpevoli di aver partecipato a dei seminari di Arkeon e per questo sbattute in tv in prima serata, condannate da familiari ignari ma spaventati, isolati nelle scuole dei propri figli, minacciati con lettere anonime e taglio delle gomme, portate al collasso economico dagli avvocati e dalla perdita del lavoro. Di fronte a tutto ciò alcune voci in questi anni si sono levate a porre domande e a mostrare alcune contraddizioni. Voci di persone di Arkeon che non hanno inteso farsi intimidire e che hanno voluto raccontare il sostegno, la forza, il rispetto e la profondità sperimentate in questo percorso. Ma anche voci di studiosi ed esperti del mondo antisette, preoccupati da quella che è stata definita una vera e propria “caccia alle streghe”. E che ha fatto parlare di un “Caso Arkeon” in cui – come ha detto qualche osservatore terzo – “chi mette il dito muore”. Allora cos’è “il Caso Arkeon”? Un’incredibile quanto inconsistente caso mediatico-giudiziario scoppiato a metà del 2007 intorno ad un percorso di crescita individuale (Arkeon) nato in Italia nel corso degli anni ’90. Avviato dalle denunce di alcuni “ex”, che hanno portato all’oscuramento dei siti di Arkeon e all’apertura di indagini su 11 maestri di Arkeon, tra cui il fondatore. E al cui centro, accanto ad Arkeon, c’è il Cesap: una “discussa” associazione antisette di Bari che per prima ha raccolto tali denunce, che nella vicenda in questione ha agito come consulente del Tribunale di Bari e nello stesso tempo come pare lesa, e che ha l’onore di aver per prima introdotto in questa vicenda la parola chiave “psicosetta”. A questo punto è bene chiarire un aspetto: questo non è un sito promozionale di Arkeon, i cui seminari sono stati interrotti immediatamente dopo la notizia dell’avvio delle indagini. Né l’interesse di chi scrive è di promuoverne la riapertura. E nemmeno l’intento è di santificare il percorso Arkeon, sul quale sicuramente si possono muovere critiche anche importanti, come ha fatto in più occasioni per primo chi scrive. L’obiettivo è solo poter tornare a raccontare la verità su una storia paradossale, quanto lo sono state altre in Italia prima della nostra, a partire dal caso Tortora, al caso Dimitri, al caso Rignano, al caso Brescia solo per fare gli esempi più eclatanti. Ciò che accomuna queste vicende non è tanto “l’errore giudiziario o investigativo”, quanto il singolare concorso di incompetenze, psicosi e interessi particolari nell’inventare una realtà inesistente e nel determinare una vera e propria persecuzione. Vogliamo raccontare quanto è avvenuto e quanto ancora sta avvenendo e forse avverrà, per amore della verità, per gratitudine verso un’esperienza che abbiamo visto sanare molte vite ferite e per i nostri figli e chi verrà dopo, perchè non debbano continuare a fare i conti con simili follie. Nel merito, questo sito raccoglie una parte del tantissimo materiale che in questi anni è apparso sul web in relazione ad Arkeon, cercando di rendere pubbliche e accessibili quelle informazioni e quel dibattito fino ad oggi svoltosi tra addetti; informazioni che mostrano tutta l’assurdità di questa vicenda. Il sito crescerà un po’ alla volta, vi invitiamo a seguirlo. Buona lettura"
Un abbraccio e buona notte.
pulvis.

10/05/09

Domenica, 10 maggio 2009
Cari tutti, di due cose mi preme parlare. 1) Riguardo all’ultimo post di Pietro Bono relativo alla pagina sul blog della d.ssa DiMarzio io rimango un po’ sconcertata. Forse sono troppo naif ma ho sempre pensato che per correttezza laddove l’offesa, la calunnia, sia stata pubblica, ci sia una richiesta di scuse pubblica. Nel caso della dott.sa Tinelli non sono pervenute scuse alcune. Passi, alle volte l’orgoglio è troppo grande per permetterci di fare ciò che è giusto ed onorevole. … Dunque la DiMarzio ha fatto ciò che chiunque farebbe: porto le prove che quello che è stato detto contro di me è falso. Cosa c’è di strano? Cosa c’è di male? Lo si insegna anche ai bambini! … Ma così la d.ssa Tinelli è esposta alle critiche e via dicendo! … Beh, perché la DiMarzio non la è stata? Perché ci sono figli e figliastri? Forse “la Legge è uguale per tutti” ma il diritto alla difesa dell’onore no? Pare che sia così visto che la d.ssa DiMarzio è stata diffidata (senza basi legali per farlo) dal riportare la seguente frase: "...Con riferimento alla richiesta da Lei inoltrata in ordine alle presunte dichiarazioni da me rilasciate alla Dott.ssa T., a seguito di richiesta di chiarimenti effettuata dall'ordine della Puglia a quest'ultima, posso precisare che la frase incriminata è stata completamente estrapolata - con conseguente travisamento del significato suo proprio - dal contesto in cui era stata pronunziata [...] Certi di aver chiarito l'equivoco si porgono distinti saluti [...]". Un evviva per l’onore. 2) Riguardo all’ultimo post di Klee. Ho provato sulla mia pelle cosa si sente ad essere definiti dei "plagiati" dalla propria madre quando ancora ero un’adolescente. Accadeva ogni qualvolta esprimevo idee a lei incomprensibili (ma che nemmeno cercava di comprendere con ascolto e domande).
Accadeva quando frequentavo persone (di parrocchia, si badi bene!) che a lei non andavano a genio perché preferivo la loro compagnia a quella dei miei familiari o ancora perché mi spronavano ad avere iniziative personali (sic!). La urtavano tanto da rivolgermi un’accusa così pesante - per fortuna spero solo tra le pareti domestiche. Non oso immaginare cosa si provi a sentirselo dire in TV, a volto scoperto o peggio ancora nascosto (come fu nelle varie trasmissioni di accusa ad Arkeon). Non oso immaginare cosa significhi sentirselo dire da un coniuge con cui hai condiviso (?) tanta parte della tua vita… Ciò che generava era una ferita profondissima che mette una distanza enorme data dalla sensazione che forse non ti abbiano mai vista/conosciuta (che Klee ha citato nel caso Berlusconi-Lario come “ma allora tu cosa hai scelto come moglie?”). Poi seguiva una banale accusa: ma se io sono plagiabile come dici, tu genitore non hai fatto, né stai facendo, un gran buon lavoro! Perché invece non parli con me, capisci dove l’ingranaggio non funziona e senza accusare o giudicare mi aiuti a comprendere la realtà dei fatti (come immagino che un genitore abbia il dovere di fare)? Nel mio caso, grazie al Cielo, l'innocenza di mia madre la portava a svelare inconsciamente la vera origine della sua accusa dal momento che una volta ero di carattere forte ed impositivo ed un'altra ero plagiabile e debole a seconda che la situazione fosse per lei più o meno accettabile. Questo ho compreso nel tempo (perché per lenire e superare il dolore l’unica via che ho trovato è stata cercare di comprendere le radici delle azioni): mia madre aveva solo tanta paura di ciò che usciva dal suo controllo. Avrebbe voluto che io rimanessi “gestibile”, nel range delle esperienze che lei aveva fatto e che le davano sicurezza, nei limiti della famiglia. Invece mi aprivo agli esterni, a persone, idee e modalità differenti da quelli a lei noti e questo portava tanto, troppo spavento. “(...) La paura dell’altro, di colui che viene percepito come diverso e in quanto diverso emarginato se non odiato, è in realtà paura di sè, della propria incertezza e del proprio caos interiore.” (Comment by armando — May 5, 2009 @ 6:17 pm ) Le voglio un bene enorme nonostante tutto quello che è stato perché è il suo limite. Non c’è stata cattiva fede, nel suo caso. C’è stata solo debolezza. Un ruggito di disperazione uscito in malo modo, se vogliamo. …Ma la mia unica difesa è stata aumentare la distanza anche fisicamente andandomene al più presto di casa. L’obiettivo di quell’urlo per fortuna non è stato raggiunto. Conosco molte donne che ancora ci provano con i loro figli. Spesso sono madri. … Di cuore domando loro: ma una volta che avrete “riassorbito” i vostri figli che cosa vi resterà? Sarete più sicure? Vi sentirete placate? Io non credo! Mio padre mi raccontò una volta che ci sono degli uccelli che uccidono i figli quando si accorgono che non sapranno mai uscire dal nido… Perché voi volete andare contro natura? Lasciate volare ciò che avete messo al mondo: non sono vostri, sono di Dio, sono del Creato!
Comunque grazie a mia madre, perché credo che così mi abbia vaccinata contro le "sette".

09/05/09

10 maggio 2009
"Mia cara mamma,
mi sento più buono
se ad ogni mio errore
mi insegni il perdono.
Io ti ringrazio perché mi hai curata,
io ti ringrazio perché sono nata.
In ogni tuo sguardo
io imparo chi sono:
mia cara mamma,
sei proprio un bel dono!"
(Pulvis)
Un abbraccio grande a tutte le madri... ed a quelle che - come me - vorrebbero esserlo e forse un po' lo sono...

26/04/09

Domenica, 26 Aprile 2009
Cari tutti,
questa sera ho curiosato un po' su un altro blog: quello della dottoressa Raffaella Di Marzio.
Riporto (come ho già fatto in altre occasioni) i commenti che Le ho lasciato ad un suo post nel quale riportava la verità di fatti che La riguardano.
"Io vengo da una famiglia dove mentire è uno stile di vita insegnato ai figli come unico possibile. Grazie a Dio mio padre conosce comunque bene la distinzione tra ciò che è vero e ciò che non lo è anche se ritiene indispensabile nella vita usare la seconda versione delle cose. Per mia madre purtroppo la distinzione è un po’ più confusa e come per tanti (nel suo caso garantisco la buona fede) il confine tra il reale ed desiderato diventa molto labile. Con ciò che ne consegue. Ovviamente hanno generato una figlia (la sottoscritta) che è negata per la menzogna. Mi si legge in fronte se non ho detto proprio tutto quello che bolle in pentola. Il deterrente definitivo venne alle medie: in un compito in classe provai a copiare come i miei compagni ma, siccome sentivo che questa cosa non era buona, dopo poco cercai di mettere il foglio che mi ero preparata sotto il banco in modo da non usarlo più. Essendo maldestra mi vide la prof. che mi usò – forse- come monito per tutti dandomi una sonora lezione (mi tenne bassi i voti per tutto l’anno e mi fece sentire tutta la sua disistima… e pesava parecchio). Insomma, forse questo, forse che non mi sento in pace, ma non so tenere nascosto qualcosa di importante nelle relazioni (chi mi conosce è avvisato). Di conforto in questa mia forma mi fu il lavoro in Arkéon. Ricordo come se fosse oggi quando Vito Carlo Moccia mi disse una cosa che spero di non scordare mai: non lasciare nulla di non detto, di segreto, tra te e tuo marito (ma questo vale anche con tutti quelli che si amano) perché poi quello che è un granellino cresce a dismisura e mette distanza tra voi. Nulla di nuovo rispetto a “la verità vi renderà liberi”. Ma visto lo stampo familiare mi ha fatto un gran caldo al cuore. I bambini a tal proposito sono degli ottimi “falla-detector”: nella mia esperienza se fra due c’è qualsiasi cosa di non detto, sentono “a fiuto” che quello è il possibile varco di minor resistenza per ottenere quello che cercano, e ci entrano a pié pari con la loro innocenza. Sempre parlando di loro mi viene in mente un’immagine che mi fa tenerezza: un Pinocchio con le gambette cortissime che si affanna a correre brandendo un naso lunghissimo. Ai bambini, infatti, si insegnano due detti: “le bugie hanno il naso lungo” e “le bugie hanno le gambe corte”. All’inizio mi risultava un po’ oscura l’origine di queste due espressioni. Poi, con il tempo ed un sorriso, man mano che le due immagini sono diventate plastiche ho compreso. Il naso lungo di Pinocchio faceva sì che lo si scoprisse subito: lo si vede da lontano che ha mentito! Proprio come capita a me. Allo stesso modo le gambe corte faticano a portare lontano. Chi ha le gambe corte giocando a tocco fulmine o a nascondino viene preso subito. Proprio come è capitato nel caso che Lei ha citato. :-) ... per essere più seri di quanto fatto finora, riporto un racconto letto non so dove e scritto da non so chi, che in sostanza parla di questa signora che è pettegola e sparla di tutto e di tutti e va a confessarsi ogni volta riportando al sacerdote questo suo peccato. Il saggio confessore un giorno, dopo averla assolta, le dà il compito di prendere una gallina e spennarla mentre si incammina da un posto all'altro e poi di tornare da lui una volta eseguito il compito. La donna ovviamente si ripresenta dal sacerdote il quale le dà la seconda parte del compito: ora deve ripercorrere la strada a ritroso raccogliendo tutte le piume che ha seminato per strada. L'anziana signora, ovviamente, rimane interdetta e fa le sue rimostranze al sacerdote: «Eh, ma non è possibile! il vento le ha già sparse tutte, chissà dove le ha portate!»
Bingo! Il prelato ha raggiunto il suo scopo: le piume che lei ha lasciato sono come le sue maldicenze. Una volta sparse, anche se lei volesse porre rimedio, chissà fin dove sono arrivate. Meglio frenare prima la lingua. Magari chiedendo aiuto a Dio.
Purtroppo la realtà è che menzogne come quella che Lei riporta o come quelle che apparvero sui quotidiani all'inizio della vicenda Arkéon (ed in chissà quanti altri casi) temo siano state sparse appositamente perché, anche quando sia stata accertata la verità delle cose, ci sia sempre un posticino in cui quella piuma è volata e non potrà essere raccolta..."
Buona notte.

16/04/09

giovedì 16 Aprile 2009
Cari tutti,
non mi sono persa del tutto. Sto lasciando un po' di silenzio nel cuore per far fermare tutto quello che si è agitato in questo periodo (vedi il blog di fioridiarancio). Un po' come quando metti i piedi nel mare sabbioso e, muovendo giocoforza il fondale, non vedi più i pesciolini che guizzano da una parte all'altra.
Credo che il mio "animale totem" potrebbe, per la lentezza, essere la tartaruga o la lumaca... anche se chi mi ama dice il somaro! : -)
E' tutto molto veloce qui sul web. Tantissimi post e commenti ad un ritmo molto serrato. Non riesco a starvi dietro, vi chiedo scusa. Procederò con la mia solita lentezza e ci vediamo alla fine.
Intanto buona Pasqua.
O meglio: spero che la vostra Pasqua sia trascorsa bene.
Questa mattina dal blog citato di fioridiarancio sono saltata su quello di Pietro Bono.
La prima frase riportata dal web mi è piaciuta molto e mi ha messo ancora più silenzio nel cuore.
Leggendo un po' del materiale che ha messo a disposizione il mio pensiero è scivolato ad uno stralcio dell'ultimo discorso di J. Krishnamurti che ho appeso in casa ("Essere liberi da qualsiasi autorità, vostra o di qualcun'altro...").
Sono andata un po' sul web, alla ricerca di un suo sito "ufficiale" e con la mia flemma ed il mio poco tempo a disposizione ho trovato questo. Spero che sia proficuo per voi quanto lo è per me.
Altra cosa che il blog di Pietro Bono mi ha portato alla mente è stato il richiamo alle beatitudini (che cito a memoria per cui in maniera forse non precisa): "Beati i perseguitati per la causa della giustizia" e " Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e , mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia..."
Mi è venuto anche in mente quanto nell'Antico testamento sia più volte fatto richiamo al giudicare retto dei giudici. Giudicare "secondo giustizia" senza fare distinzioni e favoritismi per i "ricchi" contro i "poveri", a sfavore di chi non può tutelarsi perché in posizione svantaggiata. Spesso prego con il cuore perché chi giudica giudichi rettamente, "secondo giustizia" sapendo che, in ultima analisi c'è un Giudice nel Cielo che ascolta le preghiere di tutti ed al quale rimetto questa causa.
Ciò nondimeno c'è un detto popolare a me molto caro: aiutati che il Ciel ti aiuta. Lo interpreto come un "fai tutto ciò che è in tuo potere fare ed al resto ci pensa l'Altissimo". Mi dà fiducia nella sua Provvidenza.
Pietro e molti altri si sono sentiti chiamati a questo: mostrare la vicenda che ci è piovuta addosso rendendo testimonianza alla verità dei fatti (e delle ingiustizie) che hanno vissuto in prima persona. Io forse non ho questo coraggio.
O forse non è quanto richiesto a me.
Non mi tirerò indietro, in sede giudiziaria, qualora mi fosse richiesto di farlo.
Oggi mi limito a sostenervi nella preghiera ed a fare il mio: vivere in prima persona e far fruttare nella quotidianità - nonostante tutti i miei limiti - quei principi di rispetto, accoglienza, libertà di pensiero e profondo ascolto di sé, degli eventi e delle relazioni, che ho vissuto e che vivo.
Anche con i miei genitori il modo migliore che sento di avere per onorarli è essere al meglio ciò che sono, percorrere onestamente la mia strada... perché al di là delle differenze di pensiero, della distanza, delle paure, quando saprò lasciarmi vedere dal loro amore e riusciranno a vederemi con lo sguardo di Dio, possano essere fieri della figlia che hanno messo al mondo. Già oggi qualcosa si muove in questa direzione.
Lo stesso faccio per tutto quello che mi è stato donato con questo percorso di crescita: lo reinvesto nel futuro.
L'acqua scorre sotto la roccia, nelle zone carsiche, e riaffiora a tempo debito anche se magari a chilometri di distanza. Chi lo sa.
Coraggio, Pietro Bono.

07/04/09

Martedì 07 Aprile 2009
Cari tutti, ho una forte perplessità etico-metodologica: le “punizioni”. Io ho sempre avuto il terrore sacro di sbagliare. Quando capitava in famiglia ero duramente sanzionata soprattutto a livello psicologico. Sbagliare era il peggio che mi potesse capitare: senso di esclusione dalla “cerchia dei figli amati”, mi veniva detto che gli esterni alla famiglia mi avrebbero vista ridicola, una sciocca. Alle volte erano sonore sculacciate o l’esclusione si manifestava nell’allontanamento dagli altri con la classica “punizione”. Dopo molti anni in cui vivo da sola l’ansia di non sbagliare ancora mi blocca e mi perseguita, ma grazie a Dio non più così tanto. Chi mi è vicino non solo accoglie con amore i miei errori ma alle volte nemmeno ci dà peso! Errare Humanum Est ( …sed perseverare, diabolicum!) L’omeopata al quale mi rivolgo per la cura della mia salute un giorno mi disse una cosa che ai più sembrerà scontata ma a me fece versare tante lacrime: siamo a questo mondo per imparare. E poiché sbagliando si impara, sbagliare è lecito. E’ “normale” per noi che siamo a questo mondo. Beh, mi ha aperto il cuore e Lo ringrazio ancora oggi. Sbagliare mi riesce benissimo. E’ il sentirsi umani e non “sbagliati” quando lo si fa che mi mancava. Una specie di autorizzazione, se vogliamo! Ecco il punto. E’ inevitabile che i bambini piccoli, messi insieme ai loro simili, non sappiano bene come comportarsi. Vogliono entrare in relazione con gli altri o li vogliono tenere a distanza ma magari il linguaggio non è ancora ben sviluppato! O peggio: il linguaggio c’è ma c’è l’imbarazzo nel usarlo: non è abbastanza immediato! Poi magari la creaturina tende ad essere esagitata, ad avere poco controllo dei movimenti, a lasciare uscire un rancore che porta dentro per la nascita di un fratellino[1] piccolo o per qualsiasi altro motivo… e la frittata è fatta: il morso, lo schiaffo, la manata, la torre meravigliosa distrutta, un oggetto tirato in testa… Il repertorio è vario ed arriva fin dove spazia la fantasia di un bambino. La prima reazione di molti adulti è soccorrere il bambino che piange, consolarlo, scoprire qual è il punto che gli duole (e medicarlo) e, sgridando il compagno, metterlo in un angolo da solo in punizione. I bambini temono moltissimo questa cosa e funziona da deterrente in maniera eccezionale: non osano nemmeno chiedere di andare in bagno se sanno che la maestra in quel momento non vuole e rischiano una punizione. Wow, che bello! lo faccio anch’io, così vivo più serena! Secondo me l’effetto collaterale è invece grande. - Se punisco tutto nella stessa maniera tutto diviene della stessa gravità. - In punizione tipicamente vanno sempre “i soliti” che finiscono per essere i più nominati dalle insegnanti come esempio negativo e quindi stigmatizzati e lasciati da parte dai compagni (l’ho visto con i miei occhi e sentito con le mie orecchie). - Se intervengo senza appurare la ragione del gesto mi perdo metà della luna. A volte è il bimbo che piange disperato quello che ha “fatto un torto” al quale è seguita una reazione (sproporzionata o non appropriata, certo, ma pur sempre) di difesa. Stiamo parlando di bambini ma spesso capita anche a noi “grandi” per cui in teoria possiamo capire! - Da grandi, infine, quando un tale sistema educativo si sarà sedimentato nel loro modo di pensare ed agire, come vivranno gli errori (inevitabili perché nessuno è perfetto)? Come interpreteranno le sanzioni (una multa per esempio) in cui incorreranno? Come saranno sentite le leggi dello Stato o i comandamenti di Dio? Una guida per vivere in pace con gli altri o l’ennesimo muro che rischia di crollare loro addosso se non stanno attenti? Nella mia (poca) esperienza ho trovato sufficiente spiegare con parole semplici gli errori e le ragioni di entrambi, chieder loro l’impegno di non farlo più, far fare pace con delle scuse reciproche (che sanano moltissimo!) e tutto riparte meglio di prima. Qualche tempo fa è accaduto un fatto per me molto tenero. Come già detto prima uso il maschile non necessariamente perché fossero due maschi i soggetti coinvolti nella dinamica. Due bimbi (A e B) seduti uno accanto all’altro di età poco differente. Volevano giocare nonostante non fosse il momento e li avessi richiamati già più volte. Ad un certo punto sento A piangere disperato: l’amico, più timido, gli aveva dato un bel morso… la mia collega, alla quale stavo affidando per le cure il malcapitato, si volta verso B e, con voce tonante, lo minaccia della punizione che si appresta a mettere in atto. Siccome in quel momento gestivo io i bambini glie lo sottraggo con una scusa e la tranquillizzo dicendole che lo avrei fatto sedere sulla sedia delle insegnanti. La povera creaturina era nervosissima: occhi sbarrati e semi-fissi a dispetto delle mani e delle gambe che non stavano ferme un attimo. Mi sono avvicinata in posizione più bassa della sua e gli ho chiesto più volte la ragione del gesto ma… nessuna risposta. Siccome è un’abitué delle botte ai compagni (e gli rendo merito che stava rarefando moltissimo gli episodi) gli ho ripetuto il mantra che fa male ai suoi amici in quel modo, che poi non vogliono più giocare con lui (è vero), che è un bambino in gamba ed è un peccato che si comporti così e via dicendo. Pian piano mi ha rivelato che… voleva solo giocare! Allora vai a fargli capire che i cagnolini e gli animali giocano mordendosi ma che i bambini giocano in un altro modo! …alla fine l’ho lasciato un po’ a riflettere sul senso dell’accaduto ed a fare una scelta su come avrebbe provato a comportarsi: mi avrebbe avvisata quando aveva “pensato”. Così è stato. Ha chiesto scusa ad A il quale le ha accettate ed ha coperto il morso fino ad allora lasciato esposto fuori dalla maglietta. Tutto guarito. Speriamo bene. Concludendo: cosa sarebbe servito “punirlo” per l’errore? Stava imparando! E’ una lunga strada che sta percorrendo e dove inciampa più o meno frequentemente. La mia collega mi mise in guardia che quel bambino dice le bugie: secondo me la paura fa mentire molto di più… Come “insegnante” il mio compito non è “insegnarti” soprattutto a conoscerti ed a scegliere? Diverso è forse il discorso se vedo che, deliberatamente, per sfida o cattiva intenzione fai del male… A me sembra di insegnare che “sei sbagliato” se ti punisco o ti ripeto sconsolata che “sei sempre il solito”! Dov’è la possibilità di evoluzione e miglioramento? Dov'è il sanzionare il gesto e non chi lo compie? …Non nego però che mi interessa conoscere le ragioni di chi usa il sistema delle punizioni: un confronto onesto penso che mi potrebbe aiutare moltissimo anche professionalmente. Grazie. [1] Perdonatemi: qui ed in tutti i post adopero il maschile secondo l’uso generico della grammatica italiana e non riferendomi o riportando il caso di un maschio piuttosto che di una femmina.

02/04/09

Giovedì 02 Aprile 2009
Cari tutti, riporto qui per intero (perché per me è importante farlo), un commento che ho lasciato su un blog che ho visitato di recente ad un post del 13/03/2009 intitolato "Dalla crisi della maternità alla questione filiale". “Caro Sudore&Pioggia, mi permetto di condividere con Te e con chi siede in questo cerchio con noi, ora, alcuni “ma…” in merito a quanto da te scritto. Chiedo scusa in anticipo per la lunghezza del testo. 1) Conosco molte donne (collaboratrici domestiche, sportelliste, segretarie, contabili, infermiere,…: impieghi comuni di medio livello…) che vivono il loro lavoro non come rivalsa sul maschile ma come sostegno per la loro famiglia. Forse per un osservatore esterno questo contributo non è economico come talvolta noi lavoratrici crediamo ma consiste più nel nostro benessere psichico che può derivare dall’impellenza di un’ulteriore espressione che non riesce ad esaurirsi tra le mura domestiche, dalla paura di essere un peso (…ed io ne so qualcosa) o di essere troppo dipendenti o ancora di “spegnersi il cervello” o buttare anni di studio pagati a caro prezzo dalla famiglia di origine… ma comunque alla base non c’è il conflitto o la rivalsa sul coniuge: c’è il “fare la propria parte”… forse questa scelta merita rispetto nonostante tutto. 2) E’ molto carina la storiella Zen di quel monaco che tutte le notti era tormentato da un mostruoso e pericolosissimo ragno con il quale ingaggiava un’estenuante lotta. Un giorno chiese aiuto al suo maestro che gli suggerì, al ripresentarsi del nemico, di prendere un pennello e disegnargli un cerchio sulla pancia… E la mattina seguente trovò un bel cerchio disegnato intorno al proprio ombelico!!! Talvolta temo che facciamo proprio così tutti quanti: carichiamo chi più ci è vicino di paure e proiezioni solo nostre. A seconda di come viviamo la coppia ed il lavoro domestico o fuori casa, il mantra sarà “stai a casa, i figli prima di tutto!” o “mantieni la tua indipendenza, cercati un lavoro”. La responsabilità di ciascuno, secondo me, è tenere ben ferma nella memoria e nella carne la traccia del proprio vissuto e cercare, nel limite delle nostre capacità, non solo di comprendere da dove viene, ma anche di sciogliere la catena e non scaricarlo a valle ripetendolo. Le famiglie di origine – come pure noi, se non ci prestiamo attenzione - resistono a qualunque cambiamento che vada in direzioni sconosciute o non sperimentate. E’ il “Chi lascia la strada vecchia per la nuova sa quello che lascia ma non sa quello che trova!” E’ un istinto di sopravvivenza che ha custodito la razza umana fino ad oggi. In realtà forse ciascuno deve solo avere la libertà di precorrere la propria strada, di sperimentarsi senza che questo gravi sugli altri. 2 ½) …Se una donna “si realizza” nella cura della prole non corre il rischio di riporre su di loro troppe aspettative, troppa l’attenzione? Diventa troppo il bisogno che quella dedizione porti frutto! E’ il frutto che io mi aspetto per sentirmi realizzata, perché quella mia “dedizione” non sia stata vana, non quello che la piantina di fronte a me può realmente dare… E quando i figli iniziano ad avere un fisiologico bisogno del loro spazio che rimarrà di quelle devote madri? Che sentimenti condiranno il nutrimento che porta in tavola la sera? Riuscirà a lasciare aprire le ali? O di qua e di là passerà più o meno criptato il “non mi lasciare sola, io ti ho fatto per me!” (che purtroppo ho sentito spesso dire alle madri di una volta che erano obbligate a stare a casa…) Forse a quel punto è meglio una madre un po’ meno presente ma che si realizza da se stessa… Io ho tentato di farlo tramite mio marito, e per fortuna che me ne sono accorta in tempo perché stavo sfasciando la mia famiglia. Non oso immaginare che succede se capita con un bambino! Per inciso: forse anche ai padri può capitare qualcosa di simile (penso a quelli che desiderano e/o premono più o meno apertamente perché la progenie imbocchi un corso di studio piuttosto che un altro o sposi una donna piuttosto che un’altra…) 3) Pensa che meraviglia se davvero fosse l’intera Società a prendersi carico dei bambini, a considerare se stessa (perché questo sono i bambini: noi stessi solo un po’ di tempo fa) un tesoro prezioso di cui avere cura: quello che io madre/padre non so o non posso darti non ti verrà a mancare perché ci saranno altri che lo sanno e lo possono fare… e così lo dono anche a me stessa. Forse sarebbe un volerci un poco più bene, no? 4) Esiste l’“istinto materno” inteso come quella spinta innata ed istintiva di ogni donna a prendersi cura della prole? Per la mia piccola esperienza la paternità e la maternità mi paiono più come stati mentali che non sempre vengono a ruota dopo il parto: non tutte le donne che vedo generare un figlio sono o sono-portate-per-essere madri. Capita, alle volte, che procreiamo solo per mettere una tacca nell’elenco delle esperienze di una vita o perché ci è capitato. Alle volte semplicemente scegliamo di non mettere le mani in quello che la creaturina appena uscita dalla nostra pancia porta fuori con sé. Non farlo forse è una scelta che, per quanto dolorosa per chi la subisce, va rispettata: a torto o a ragione ci mantiene sufficientemente in equilibrio. In questo senso trovo un’ipocrisia il “prima era più bello!” Penso alle epoche precedenti: c’erano i pedagoghi, le bàlie e le nutrici. C’erano delle nonne o zie o sorelle più o meno portate per l’accudimento dei pargoli che lo facevano per le donne che erano nei campi o alle feste. C’erano i collegi ed i conventi. Ci sono gli asili e le tate. Dov’è quindi lo scandalo? Provo a calarmi nei panni di una donna che (nel caso peggiore) ha semplicemente “la smania del successo” e che per caso o per esperienza è incinta: se fossi costretta a stare in casa a prendermi cura di lui/lei (“per colpa sua”) o abortirei finché mi è possibile o forse gli lascio una buona possibilità se trovo per lui/lei un ottimo asilo otto ore al giorno. Sempre meglio che una pessima madre (per giunta che magari va fuori di testa) otto ore al giorno! Magari quella pessima madre è un ottimo medico o un’ottima manager! 4 ½) Una cosa bella è che mi è anche capitato di incontrare degli splendidi Padri che riescono (seppure con la sofferenza di chi cammina con una gamba sola) a supplire all’assenza più o meno deliberata della moglie (che amano moltissimo) attingendo anche al loro istinto materno… Nonostante il pregiudizio delle altre donne i loro figli sono molto equilibrati. In fondo, forse, è la stessa sofferenza di quelle Madri che fanno anche da padre! 5) Mi rendo conto che, per una digiuna di bambini e dei loro meccanismi, trovarsi “madre”, sola in casa perché il marito è al lavoro, con la responsabilità di provvedere ad una vera e propria “idrovora di attenzione ed energie” deve essere traumatico. Chi può biasimarla se fugge a gambe levate lasciando la creatura a qualcun altro? Sembra di non poter staccare mai, che “se io non ci sono muore”: non lascia nemmeno il tempo per una doccia!... E poi quel pianto perfora i timpani e squarta la pancia. Riesce a sfondare la barriera del suono per non so quanto tempo con una forza ed una resistenza che non si capisce da dove vengano fuori visti i pochi centimetri di lunghezza! Mi sono fatta l’idea che sia la paura del bambino che viene fuori tramite le nostre labbra, come se fossero dei ventriloqui e noi il loro pupazzo. Tant’è ce ne facciamo risucchiare. Alle volte è per questioni organizzative, altre per inesperienza. Altre perché non si può accettare quel sano distacco che consente la lucidità: che ricorda a noi che dovremmo essere gli adulti, i “sopravvissuti” a quella originaria paura, che non siamo indispensabili. Che non si muore per 5’ di attesa o per un “no”. Che anche venti minuti di pianto per un desiderio non realizzato non uccidono nessuno se accanto a quella fermezza c’è l’accoglienza del dolore dell’altro. Forse sono questi i famosi “no” che fanno crescere di cui tanto parlano gli specialisti! Mi viene sempre in mente quell’espressione “medico pietoso non guarisce l’ammalato” che è ancora più chiara nell’accezione più colorita: “medico pietoso fa la piaga purulenta!” Le mamme sono trascurate: - io ero trascurata anche prima dell’arrivo dei figli o perché davo priorità ad altro o per motivi miei. I figli non credo che mi cambino in meglio… Forse possono diventare un alibi per la mia trascuratezza (ammesso che io la percepisca come tale)! - io mi curavo prima dei figli, era importante per me per essere in pace con me stessa, per amarmi. Forse ho “cambiato programma” e non sto più vivendo la mia vita ma mi sto immedesimando in quella di qualcun'altra dalla quale ho appreso l’equazione madre= trascuratezza! … ma non è affatto detto! Non credo che saranno i figli a non permettermi di amarmi perché non posso dare/insegnare ad altri quello che non ho/non so. Veramente ritengo che molto dipenda dalla mia intenzione… e poi i modelli della TV, delle passerelle e delle riviste non sono necessariamente quelli delle strade. Siamo noi che abbiamo il telecomando in mano, non viceversa… anche se - lo so - è istintivo e molto più comodo dare la responsabilità agli altri… L’importante è che io sia me stessa e stia bene con me stessa. A quel punto con gli altri tutto è un po’ più facile! 6) Infine eccomi. Io sono stata sia lavoratrice per altri, sia esclusivamente per la mia famiglia (=casalinga). Mi sono piaciute entrambe le fasi della mia vita. Erano ciò di cui avevo bisogno nonostante tutto quello che dicessero gli altri. C’erano tanta fuga e tanta paura nell’uno quanto nell’altro. In entrambi c’era errore, in entrambi ricerca. Entrambi sono stati “veri” e li difendo. Della dipendente di azienda ricordo la passione, la curiosità e la gioia che impegna anima e corpo di quando stai imparando una professione. Anche la stanchezza estrema. Ricordo le soddisfazioni professionali ed umane. Lo scoprire mie abilità non sperimentate. Ricordo la solitudine. Ricordo gli errori. Ricordo la mancanza di tempo per la riflessione, per la ricerca della mia identità al di fuori del ruolo. La fatica del gestire casa e lavoro, il senso di divisione. Da tutto questo - e da altro - la scelta di dedicarmi esclusivamente alla famiglia ed alla casa. Della casalinga ricordo la fatica e la soddisfazione della solitudine tra le pareti domestiche. Di quei muri che riflettono solo te stessa spogliandoti dei titoli, delle lauree e delle onorificenze guadagnate sul campo. Di fronte al negoziante di turno sei una persona come tutte le altre. Almeno all’inizio. Ricordo lo “spogliamento”, lo sparire del presunto “io” per conoscere e dare spazio al presunto “noi”. Ricordo la costruzione di una “casa” a partire da un appartamento. Di un vicinato a partire da semplici inquilini di condominio. Di una moglie a partire da una sposa. Ricordo con gioia lo sperimentarmi anche nelle arti miticamente ascritte alle nonne: cucina, cucito (e simili), cura. Certo, dopo un po’ il ripetere come una meditazione o una preghiera sempre gli stessi gesti offrendoli ai familiari ed a Dio ha cominciato a non bastarmi. La sensazione (l’errore) anche non coscientemente trasmessomi da mia madre e da mia suocera, era nell’attribuire al mio lavoro meno valore di quello che attribuivo al lavoro “esterno” del mio compagno di viaggio. Quell’errore che fa sì che dopo una lunga giornata di lavoro densa per entrambi, lui ha il diritto di tornare a casa e sedersi sul divano mentre tu ti senti il dovere di stare in piedi fino a tardi per cucinare, riassettare e stirare servendo tutti quanti. Perché loro sono tornati da fuori mentre tu sei stata a casa (!) tutto il giorno e potevi prenderti le pause quando volevi (!!!). (Per inciso ho letto tra i vari post qui lasciati che anche altre donne hanno vissuto la stessa esperienza. Mi dispiace per loro, ma sono contenta che sia stata riconosciuta per quella che è – un errore di valutazione - e condivisa). Con il passare del tempo è comparso ed è diventato imperante il senso di inutilità che, nonostante il sostegno di chi già c’era passato, non sono riuscita a sciogliere e mi ha spinta nuovamente a lavorare fuori casa. C’era un pezzo di me individuo che non era cresciuto precedentemente. Mi sono anche detta che cambiare attività non aiuta a sciogliere i nodi: me li ritroverò se sono “cose mie”. Ma così è andata. In fondo non fa male cambiare prospettiva per risolvere un puzzle: se sono arenata da questa parte magari di là trovo la soluzione! La Provvidenza mi ha offerto un buon compromesso tra la casa (che mi sarebbe mancata troppo) ed il servizio ad altri. Ammetto che, nonostante le mie paure, sta portando frutti buoni di presenza anche in famiglia. Sento tanto lo spessore e la sicurezza che mi ha portato l’esperienza di casalinga quando sono a servizio di terzi. Sento tanto lo spessore e la sicurezza in me nonché gli impulsi di novità che il lavoro conto terzi porta nella nostra casa. Finalmente inizia ad essere un soffitto con due pareti che stanno in piedi ciascuna per conto suo… e questo non è poco. Forse quell’io che credetti di lasciare non era un io e quel noi che credevo di costruire non era un noi. Trovare un equilibrio è il mio obiettivo ancora lontanissimo da raggiungere. Da lontano sempre una stella: “scito te ipsum”. Un abbraccio e grazie dell’ospitalità. Pulvis”

01/04/09

Mercoledì 01 Aprile 2009
Cari tutti, un altro mese è finito. E’ scivolato via tra le dita e nemmeno me ne sono accorta. Un altro mese è passato ed io sono ancora senza figli. O meglio, non sono ancora “madre”. Figli ne ho tanti e ne ho avuti tanti. Ma la sera tornano sempre dalle loro famiglie. Non sono io che preparo loro la cena. Non sono io che canto loro la ninna nanna o che me ne prendo cura quando hanno la febbre. Alle volte mi domando che senso dell’umorismo abbia Dio per avermi dato il talento di comprendere ed arrivare al cuore dei bambini e non avermi fatto il dono dei figli. E’ un talento molto scomodo, nella mia posizione. Direi che fa proprio male, a tratti. Anche perché non sempre posso agire con loro come farei con un mio figlio. A volte il dolore nel riconoscere un approccio controproducente da lontano e non poterci fare niente perché non è figlio mio e non ho titolo a dire alcunché, è lancinante. Mi sconforta perché mi domando che senso ha vederlo. Poi ci sono momenti in cui il dubbio prende il sopravvento e tutto diventa senza confini. Ondivago. Per molti anni ho cercato di stare lontana dai bambini nella speranza che le mie ferite avessero requie. Mi hanno cercata loro. Poi due inseminazioni artificiali fallite. Un lutto da impazzire per quelle creature… andate. Ho messo ancora distanza ma non c’è stato verso: ad un certo punto mi sono accorta che tutto era vuoto ed inutile se non potevo prendermi cura di bambini o anziani. Soprattutto bambini. Ho provato a fuggire ancora ma alla fine sono capitolata. Ed oggi mi sento ripetere con fiducia ed amore: “faccia Lei come se fossero suoi figli”. Grazie. … e mi ritrovo a supplicare Dio: ti prego, concedi a chi pensa di abortire o sente le proprie creature come un peso ed un fastidio di provare solo per un attimo questo desiderio di figli! Concedi solo per un istante di sperimentare la sete che non può essere placata a chi raggiunge l’acqua così facilmente... Concedi loro l’occasione di parlare con quelle coppie che per anni inseguono un’adozione o si sottopongono a dure inseminazioni… di conoscerne profondamente il dolore ed accorgersi di che bene prezioso hanno con loro. Quanto meno di accorgersi che hanno una risposta in mano! Non è che tutti devono avere il desiderio di prendersi cura dei figli. No... Solo, potrebbero lasciarli a quelli che -come me- senza figli possono essere realizzati sul lavoro ed in amore ma non sentono piena la propria esistenza! Potrebbero dare un’opportunità a quei bambini ed a noi… Forse non è spiritoso. Forse mi ha messo in questa situazione per poter pregare per questi miei fratelli. Signore, ascolta questa mia preghiera… Tu che sei Padre. Amen.

25/03/09

Mercoledì 25 Marzo 2009
Cari tutti, riporto una poesia di Bruno Tognolini che trovo decisamente bella anche se non semplicissima. A mio parere tocca corde della relazione tra chi insegna e chi apprende che non suonano solo per maestro-discente ma anche per genitore-figlio. A tutti noi la offro:
“Maestra insegnami il fiore e il frutto. Col tempo ti insegnerò tutto. Insegnami fino al profondo dei mari. Ti insegnerò fino a dove tu impari. Insegnami il cielo più che si può. Ti insegno fino dove io so. E dove non sai? Da lì andiamo insieme. Maestra e scolaro dall’albero al seme insegno ed impara insieme perché io insegno se imparo con te.”
(Bruno Tognolini)
Buona notte.

23/03/09

Domenica 22 Marzo 2009
Cari tutti, ieri sera sono andata a letto un po’ più serena e la febbre ed il mal di gola sembrano avermi dato un po’ di tregua. E’ vero che mi sono alzata da poco e che è ancora presto (sono le 7:50 c.ca)! Speriamo bene. Pensavo a voi, a chi di voi capiterà tra queste righe, cosa lascerà scritto… C’è il dubbio che questo mio “esperimento” sia in realtà proteggere la mia solitudine. Mi dico: «Ma non è che risolvi molto! Parli a volto scoperto solo nel vuoto. Forse nessuno leggerà mai il messaggio di questa bottiglia affidata ad un Oceano troppo grande». Non lo so. Mi fido. Nella mia vita ho sentito sempre “una mano sulla testa” che mi protegge e mi guida. Quando ho avuto domande importanti per me, ma alle quali non sapevo dove trovare la risposta, quello che per me è Dio (per altri sarà Allah, Adonai, il Grande Spirito, l’Universo, e quant’altro che non conosco) mi ha sempre sorretta ed accompagnata là dove altri miei simili avevano intrapreso la stessa ricerca. Mi ha dato strumenti e luce per trovare le risposte. Mi ha risposto, in un certo senso. Io, come forse molte altre donne, ebbi (da bambina e poi da ragazza fin più in là negli anni) un pessimo rapporto con la mia famiglia ma soprattutto con mia madre. La odiavo visceralmente. Sentivo ostili le mie sorelle per quanto a loro, almeno a tratti, volessi veramente bene. Mi sentivo come “innamorata” di mio padre, era il mio uomo ideale ed allo stesso tempo non ne sopportavo molti modi di fare e pensare, ne vedevo i limiti… e non riuscivo ad uscire da questa empasse che mi faceva soffrire disperatamente! Anche perché la pessima relazione con mamma era dominante su tutto. Il peggio è che mi sentivo io la causa di tutto questo. Mi sentivo “cattiva”, disobbediente. Ah, se fossi stata più docile forse sarebbe stato più facile! Se non avessi sempre cercato di capire, di verificare… Se non avessi messo in dubbio le idee e gli atteggiamenti della mia famiglia, pensato diverso da loro, se non avessi sempre messo il dito nei difetti, se non avessi sempre cercato amici miei che a detta di mia madre “mi plagiavano” nella misura in cui pensavano –come già me- diversamente dai miei… Chiesi aiuto a Dio. Incappai in un’amica che mi diede una prima boccata di ossigeno ed ebbi la forza di iscrivermi a psicologia… No, non per aiutare gli altri… figuriamoci! Come potrebbe una zoppa ed guercia aiutare gli altri solo un po’ miopi a trovare la loro strada!!! No, era per capire qualcosa di me. Per cominciare a dipanare una matassa veramente troppo aggrovigliata. Passavo le lezioni più “toccanti” seduta in fondo all’aula senza riuscire a smettere di piangere nella disperata (quanto vana) speranza che nessuno mi vedesse. Lo stesso mi capitava in aula studio: per ogni pagina letta c’era quasi un quaderno di lettere a Dio scritte tra le lacrime. Com’è prevedibile i miei studi non sono andati molto avanti. Però la comprensione e l’ascolto di me sì. Avevo iniziato a parlare con un altro da me (Dio in questo caso) del mio cuore. Poi cominciai a lavorare. Il dolore accecante e paralizzante di prima aveva lasciato ormai spazio ad una semplice domanda: perché odio tanto mia madre e mi sento come innamorata di mio padre? Una psicologa della Asl, ormai alla soglia del pensionamento, archiviò la mia domanda con un “perché non sei ancora adulta”. Grazie tante. In effetti era vero, ma quella era forse il punto di arrivo. A me mancava il discorso, da cui veniva fuori quel riassunto! Gli impegni ormai più seri di lavoro mi portarono fuori città e, non pacificata dalla risposta della psicologa, rivolsi la stessa domanda a Dio. Dopo non molto incrociai un vecchissimo amico che non vedevo da anni e che mi invitò alla presentazione di un seminario di un percorso di crescita personale. Speravo nessuno mi vedesse nel grande cerchio di persone lì presenti. Mi parve che molte fossero in cerca di qualcosa. Soprattutto, stando ad ascoltare le condivisioni degli altri, cominciai a capire qualcosa della mia storia. Vidi che io non ero l’unica ad aver vissuto una storia del genere. Mi sentii accolta per quella che ero e non giudicata. Sentivo rispettato il mio continuo silenzioso stare in disparte ed ascoltare senza raccontare alcunché di me. Pian piano, goccia dopo goccia, cominciai a scaldare il gelo del mio cuore. Dopo anni di ascolto di me e degli altri, con l’amore di chi mi stava accanto e tanto dolore nel mettere le mani in sofferenze così antiche e provare a condividerle alla mia famiglia di origine, ho proprio sentito che quell’odio per mia madre era in realtà un’immensa coperta sull’amore sterminato che come figlia provo per lei. E’ come se pian piano le incomprensioni ed il dolore che nascono dall’egoismo e dalle malattie della relazione, diventano talmente pesanti che possono essere lenite solo dalla rabbia. La mia rabbia accecava la mia capacità di riconoscere e condividere il mio dolore e quindi l’amore. Chiaro che un bambino ama chi gli dà la vita e lo sostenta. Per questo è disposto a rinunciare a sé, anche a morire per chi lo genera. Ed in effetti un po’ morta la sono stata per tantissimo tempo. Per non scardinare tutta la famiglia ho rinunciato a sentire, a far vivere il mio cuore. Ho recentemente trovato un brano che secondo me descrive benissimo tutto questo. Purtroppo non so chi l’ha scritto perché era sul retro di una fotocopia datami da chissàchi, chissàquando ed archiviata tra mille altre carte che colleziono. Lo riporto:
“Armando era una saggio. Aveva capito il senso della vita ed il valore della conoscenza. Tuttavia la sua esistenza fu piuttosto difficile, perché Armando era uno schiavo. fu venduto ad un ricco signorotto arabo, che lo impegnò in mille servizi. In breve tempo, però, il padrone riconobbe le qualità di Armando e lo schiavo divenne il suo preferito. L’uomo non assaggiava cibo, se prima non lo aveva condiviso con lui e lo faceva per dimostrare ad Armando un sincero apprezzamento delle sue qualità. D’altra parte egli aveva deciso di liberare lo schiavo, non appena se ne fosse presentata l’occasione. «Uno come Armando non deve vivere in cattività. Ma gli renderò la libertà solo quando scoprirò che la sua gratitudine nei miei confronti è immensa». Un giorno, i mercanti d’una città vicina portarono al signorotto una partita d’angurie, assai succulente a prima vista. Come al solito, prima di mangiarle l’uomo le sottopose al giudizio di Armando. Lo schiavo mangiò una porzione di anguria con grande partecipazione. Sembrava proprio, a giudicare dal suo atteggiamento, che il frutto fosse prelibato. Così il signorotto decise, senza esitare, di mangiare la sua parte. Dopo pochi istanti, però, dovette smettere. Disgustato, stava addirittura per sputare l’anguria! L’uomo andò su tutte le furie, e se la prese con lo schiavo. La possibilità della liberazione per Armando stava forse per svanire? «Quest’anguria ha un sapore insopportabile tanto è acre! Perché non me l’hai detto, Armando? Pensavo fossi sempre sincero con me!» Umilmente, lo schiavo rispose: «Padrone! Sono sempre sincero con te. Ma non puoi chiedermi di criticare le cose che mi offri. Non oso farlo, perché sarei un ingrato. Io dipendo da te e dal tuo amore per me. I tuoi doni saranno sempre bene accetti, anche se riguardassero cose ripugnanti. D’altra parte, per me non sarebbero tali. Tutto ciò che mi dai è buono, poiché lo offri generosamente». Il signorotto capì che Armando aveva sacrificato il proprio gusto personale in suo favore e capì che era giunto il momento di liberare lo schiavo fedele”.
Per quello che ho potuto osservare noi da bambini funzioniamo un po’ come Armando: accettiamo tutte le cose offerteci perché ne sentiamo (o presupponiamo) la buona fede e l’amore. Alle volte c’è l’amore per se stessi più che per l’altro che spinge a quel dono… ed alla lunga un bambino lo sente e questo, unito alla frustrazione per il sentimento di ingiustizia che pian piano si va formando, crea la catena che io ho sulla mia pelle sperimentato… e purtroppo “il signorotto” di turno che ha la fortuna di accorgersi di quell’abnegazione, non sempre è tanto libero da se stesso da concedere la libertà da sé all’altro… Prego il Cielo che mi consenta sempre di ascoltare l’emozione di risposta dei bambini e di chi incontro e non solo me stessa.
Sabato 21 Marzo 2009 Equinozio di primavera!
Eccomi qua, di fronte a questo foglio vuoto come di fronte a voi che non conoscete nulla di me… né io di voi. E’ un periodo che mi gira per la mente e per il cuore una domanda, un dubbio, un qualcosa che non so definire che riguarda il parlare, l’esprimermi. I mal di gola, i suoi incessanti bruciori, i discorsi che sento e che leggo, tutto mi riconduce qui: a questo foglio bianco su cui potrei esprimermi ed alla mia ritrosìa nel farlo. Parlare di quello che sento a tratti mi terrorizza. Talvolta anche con le persone a me più intime, ma soprattutto con gli amici, le amiche, le persone che incuriosite mi si avvicinano. Abbassare il velo (una volta era un muro fortificato!) che separa la mia anima dagli altri mi spaventa moltissimo. Mi espone all’incomprensione, alla derisione (…il sentirmi ridicola!), al sentirmi noiosa o “pesante”. Mi ci vuole tempo per scoprire l’evento scatenante di questi timori... ed una volta trovato l’incipit non è che automaticamente mi si scioglie la lingua! La paura irrazionale può restarmi a lungo, forse sempre. Deve intervenire la scelta quotidiana. L’ho sperimentato anche in altre cose: funziono così! A volte c’è anche un senso di inutilità del dire. A che serve parlare, dire la mia? Talvolta sull’onda dell’entusiasmo non freno la lingua in tempo e la creatività ha il sopravvento: parlo, esprimo le mie idee, i miei progetti… e la reazione che incontro negli occhi e nel corpo degli altri quando non direttamente nelle parole e nei fatti è un ritrarsi. Una diga che argini quel fiume in piena uscito da chissà dove in maniera inaspettata. Forse è solo spiazzamento ma pian piano imparo a parlare sempre meno e solo quando esplicitamente richiesto. E’ difficile dire solo quello che gli altri vorrebbero sentire come quantità e qualità. Io per esempio non mi reputo molto spiritosa. Invece le battute sarebbero un parlare graditissimo dai miei interlocutori medi! Forse perché permettono di stare sul superficiale. Forse perché scoprono un pezzetto di cuore senza doversi mettere troppo in gioco. Non lo so. Il parlare di cui ho sete io è la narrazione del cuore, della propria storia, della propria esperienza e della comprensione di essa per limitata e parziale che sia. E’ quel parlare che non chiede in risposta un :«Sì, giusto!» o «No, sbagli perché…». E’ quel parlare che parla a se stesso e fa crescere e che chiede al silenzio ed all’accoglienza di fargli da specchio perché si possa conoscere. Una volta in un libro ho letto (questo è quello che ho capito e che ricordo, almeno) che le prime parole del bambino catalogano il mondo, poi glie lo fanno conoscere. Infine nasce il pensiero e quelle parole iniziano a parlare da sé e di sé. Fioriscono i pensieri. Sono io che mi conosco con quelle parole nel momento stesso in cui le pronuncio… e poi dico che sì, interessante questo, non ci avevo mai pensato! A me capita spesso. E’ quel parlare che ha sete di altri cuori che parlano di sé, della loro vita, della loro esperienza, della loro storia. Di quel contatto che è conoscenza di episodi. Pian piano tanti episodi dipingono un’anima. Il tacere lo conosco. Vorrei provare a raccontarmi per vedere che succede al di là di quel velo se mi allungo a toccare e farmi toccare dai miei simili. E’ una speranza per le persone di cui mi prendo cura: che ci si possa realmente mettere in gioco per crescere insieme a qualunque età. Questo chiedo a chi avrà la voglia di entrare qui: ascolto e rispetto. Senza giudizio nel limite di quello che è capace. Questo offro a chi avrà voglia di scrivere qui: ascolto e rispetto. Senza giudizio nel limite di quello che sono capace. Come compagni di preghiera o di una passeggiata in montagna in ascolto ciascuno di quello che il vento ed il proprio cuore suggerisce. Ed ha voglia di narrare.