26/04/09

Domenica, 26 Aprile 2009
Cari tutti,
questa sera ho curiosato un po' su un altro blog: quello della dottoressa Raffaella Di Marzio.
Riporto (come ho già fatto in altre occasioni) i commenti che Le ho lasciato ad un suo post nel quale riportava la verità di fatti che La riguardano.
"Io vengo da una famiglia dove mentire è uno stile di vita insegnato ai figli come unico possibile. Grazie a Dio mio padre conosce comunque bene la distinzione tra ciò che è vero e ciò che non lo è anche se ritiene indispensabile nella vita usare la seconda versione delle cose. Per mia madre purtroppo la distinzione è un po’ più confusa e come per tanti (nel suo caso garantisco la buona fede) il confine tra il reale ed desiderato diventa molto labile. Con ciò che ne consegue. Ovviamente hanno generato una figlia (la sottoscritta) che è negata per la menzogna. Mi si legge in fronte se non ho detto proprio tutto quello che bolle in pentola. Il deterrente definitivo venne alle medie: in un compito in classe provai a copiare come i miei compagni ma, siccome sentivo che questa cosa non era buona, dopo poco cercai di mettere il foglio che mi ero preparata sotto il banco in modo da non usarlo più. Essendo maldestra mi vide la prof. che mi usò – forse- come monito per tutti dandomi una sonora lezione (mi tenne bassi i voti per tutto l’anno e mi fece sentire tutta la sua disistima… e pesava parecchio). Insomma, forse questo, forse che non mi sento in pace, ma non so tenere nascosto qualcosa di importante nelle relazioni (chi mi conosce è avvisato). Di conforto in questa mia forma mi fu il lavoro in Arkéon. Ricordo come se fosse oggi quando Vito Carlo Moccia mi disse una cosa che spero di non scordare mai: non lasciare nulla di non detto, di segreto, tra te e tuo marito (ma questo vale anche con tutti quelli che si amano) perché poi quello che è un granellino cresce a dismisura e mette distanza tra voi. Nulla di nuovo rispetto a “la verità vi renderà liberi”. Ma visto lo stampo familiare mi ha fatto un gran caldo al cuore. I bambini a tal proposito sono degli ottimi “falla-detector”: nella mia esperienza se fra due c’è qualsiasi cosa di non detto, sentono “a fiuto” che quello è il possibile varco di minor resistenza per ottenere quello che cercano, e ci entrano a pié pari con la loro innocenza. Sempre parlando di loro mi viene in mente un’immagine che mi fa tenerezza: un Pinocchio con le gambette cortissime che si affanna a correre brandendo un naso lunghissimo. Ai bambini, infatti, si insegnano due detti: “le bugie hanno il naso lungo” e “le bugie hanno le gambe corte”. All’inizio mi risultava un po’ oscura l’origine di queste due espressioni. Poi, con il tempo ed un sorriso, man mano che le due immagini sono diventate plastiche ho compreso. Il naso lungo di Pinocchio faceva sì che lo si scoprisse subito: lo si vede da lontano che ha mentito! Proprio come capita a me. Allo stesso modo le gambe corte faticano a portare lontano. Chi ha le gambe corte giocando a tocco fulmine o a nascondino viene preso subito. Proprio come è capitato nel caso che Lei ha citato. :-) ... per essere più seri di quanto fatto finora, riporto un racconto letto non so dove e scritto da non so chi, che in sostanza parla di questa signora che è pettegola e sparla di tutto e di tutti e va a confessarsi ogni volta riportando al sacerdote questo suo peccato. Il saggio confessore un giorno, dopo averla assolta, le dà il compito di prendere una gallina e spennarla mentre si incammina da un posto all'altro e poi di tornare da lui una volta eseguito il compito. La donna ovviamente si ripresenta dal sacerdote il quale le dà la seconda parte del compito: ora deve ripercorrere la strada a ritroso raccogliendo tutte le piume che ha seminato per strada. L'anziana signora, ovviamente, rimane interdetta e fa le sue rimostranze al sacerdote: «Eh, ma non è possibile! il vento le ha già sparse tutte, chissà dove le ha portate!»
Bingo! Il prelato ha raggiunto il suo scopo: le piume che lei ha lasciato sono come le sue maldicenze. Una volta sparse, anche se lei volesse porre rimedio, chissà fin dove sono arrivate. Meglio frenare prima la lingua. Magari chiedendo aiuto a Dio.
Purtroppo la realtà è che menzogne come quella che Lei riporta o come quelle che apparvero sui quotidiani all'inizio della vicenda Arkéon (ed in chissà quanti altri casi) temo siano state sparse appositamente perché, anche quando sia stata accertata la verità delle cose, ci sia sempre un posticino in cui quella piuma è volata e non potrà essere raccolta..."
Buona notte.

16/04/09

giovedì 16 Aprile 2009
Cari tutti,
non mi sono persa del tutto. Sto lasciando un po' di silenzio nel cuore per far fermare tutto quello che si è agitato in questo periodo (vedi il blog di fioridiarancio). Un po' come quando metti i piedi nel mare sabbioso e, muovendo giocoforza il fondale, non vedi più i pesciolini che guizzano da una parte all'altra.
Credo che il mio "animale totem" potrebbe, per la lentezza, essere la tartaruga o la lumaca... anche se chi mi ama dice il somaro! : -)
E' tutto molto veloce qui sul web. Tantissimi post e commenti ad un ritmo molto serrato. Non riesco a starvi dietro, vi chiedo scusa. Procederò con la mia solita lentezza e ci vediamo alla fine.
Intanto buona Pasqua.
O meglio: spero che la vostra Pasqua sia trascorsa bene.
Questa mattina dal blog citato di fioridiarancio sono saltata su quello di Pietro Bono.
La prima frase riportata dal web mi è piaciuta molto e mi ha messo ancora più silenzio nel cuore.
Leggendo un po' del materiale che ha messo a disposizione il mio pensiero è scivolato ad uno stralcio dell'ultimo discorso di J. Krishnamurti che ho appeso in casa ("Essere liberi da qualsiasi autorità, vostra o di qualcun'altro...").
Sono andata un po' sul web, alla ricerca di un suo sito "ufficiale" e con la mia flemma ed il mio poco tempo a disposizione ho trovato questo. Spero che sia proficuo per voi quanto lo è per me.
Altra cosa che il blog di Pietro Bono mi ha portato alla mente è stato il richiamo alle beatitudini (che cito a memoria per cui in maniera forse non precisa): "Beati i perseguitati per la causa della giustizia" e " Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e , mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia..."
Mi è venuto anche in mente quanto nell'Antico testamento sia più volte fatto richiamo al giudicare retto dei giudici. Giudicare "secondo giustizia" senza fare distinzioni e favoritismi per i "ricchi" contro i "poveri", a sfavore di chi non può tutelarsi perché in posizione svantaggiata. Spesso prego con il cuore perché chi giudica giudichi rettamente, "secondo giustizia" sapendo che, in ultima analisi c'è un Giudice nel Cielo che ascolta le preghiere di tutti ed al quale rimetto questa causa.
Ciò nondimeno c'è un detto popolare a me molto caro: aiutati che il Ciel ti aiuta. Lo interpreto come un "fai tutto ciò che è in tuo potere fare ed al resto ci pensa l'Altissimo". Mi dà fiducia nella sua Provvidenza.
Pietro e molti altri si sono sentiti chiamati a questo: mostrare la vicenda che ci è piovuta addosso rendendo testimonianza alla verità dei fatti (e delle ingiustizie) che hanno vissuto in prima persona. Io forse non ho questo coraggio.
O forse non è quanto richiesto a me.
Non mi tirerò indietro, in sede giudiziaria, qualora mi fosse richiesto di farlo.
Oggi mi limito a sostenervi nella preghiera ed a fare il mio: vivere in prima persona e far fruttare nella quotidianità - nonostante tutti i miei limiti - quei principi di rispetto, accoglienza, libertà di pensiero e profondo ascolto di sé, degli eventi e delle relazioni, che ho vissuto e che vivo.
Anche con i miei genitori il modo migliore che sento di avere per onorarli è essere al meglio ciò che sono, percorrere onestamente la mia strada... perché al di là delle differenze di pensiero, della distanza, delle paure, quando saprò lasciarmi vedere dal loro amore e riusciranno a vederemi con lo sguardo di Dio, possano essere fieri della figlia che hanno messo al mondo. Già oggi qualcosa si muove in questa direzione.
Lo stesso faccio per tutto quello che mi è stato donato con questo percorso di crescita: lo reinvesto nel futuro.
L'acqua scorre sotto la roccia, nelle zone carsiche, e riaffiora a tempo debito anche se magari a chilometri di distanza. Chi lo sa.
Coraggio, Pietro Bono.

07/04/09

Martedì 07 Aprile 2009
Cari tutti, ho una forte perplessità etico-metodologica: le “punizioni”. Io ho sempre avuto il terrore sacro di sbagliare. Quando capitava in famiglia ero duramente sanzionata soprattutto a livello psicologico. Sbagliare era il peggio che mi potesse capitare: senso di esclusione dalla “cerchia dei figli amati”, mi veniva detto che gli esterni alla famiglia mi avrebbero vista ridicola, una sciocca. Alle volte erano sonore sculacciate o l’esclusione si manifestava nell’allontanamento dagli altri con la classica “punizione”. Dopo molti anni in cui vivo da sola l’ansia di non sbagliare ancora mi blocca e mi perseguita, ma grazie a Dio non più così tanto. Chi mi è vicino non solo accoglie con amore i miei errori ma alle volte nemmeno ci dà peso! Errare Humanum Est ( …sed perseverare, diabolicum!) L’omeopata al quale mi rivolgo per la cura della mia salute un giorno mi disse una cosa che ai più sembrerà scontata ma a me fece versare tante lacrime: siamo a questo mondo per imparare. E poiché sbagliando si impara, sbagliare è lecito. E’ “normale” per noi che siamo a questo mondo. Beh, mi ha aperto il cuore e Lo ringrazio ancora oggi. Sbagliare mi riesce benissimo. E’ il sentirsi umani e non “sbagliati” quando lo si fa che mi mancava. Una specie di autorizzazione, se vogliamo! Ecco il punto. E’ inevitabile che i bambini piccoli, messi insieme ai loro simili, non sappiano bene come comportarsi. Vogliono entrare in relazione con gli altri o li vogliono tenere a distanza ma magari il linguaggio non è ancora ben sviluppato! O peggio: il linguaggio c’è ma c’è l’imbarazzo nel usarlo: non è abbastanza immediato! Poi magari la creaturina tende ad essere esagitata, ad avere poco controllo dei movimenti, a lasciare uscire un rancore che porta dentro per la nascita di un fratellino[1] piccolo o per qualsiasi altro motivo… e la frittata è fatta: il morso, lo schiaffo, la manata, la torre meravigliosa distrutta, un oggetto tirato in testa… Il repertorio è vario ed arriva fin dove spazia la fantasia di un bambino. La prima reazione di molti adulti è soccorrere il bambino che piange, consolarlo, scoprire qual è il punto che gli duole (e medicarlo) e, sgridando il compagno, metterlo in un angolo da solo in punizione. I bambini temono moltissimo questa cosa e funziona da deterrente in maniera eccezionale: non osano nemmeno chiedere di andare in bagno se sanno che la maestra in quel momento non vuole e rischiano una punizione. Wow, che bello! lo faccio anch’io, così vivo più serena! Secondo me l’effetto collaterale è invece grande. - Se punisco tutto nella stessa maniera tutto diviene della stessa gravità. - In punizione tipicamente vanno sempre “i soliti” che finiscono per essere i più nominati dalle insegnanti come esempio negativo e quindi stigmatizzati e lasciati da parte dai compagni (l’ho visto con i miei occhi e sentito con le mie orecchie). - Se intervengo senza appurare la ragione del gesto mi perdo metà della luna. A volte è il bimbo che piange disperato quello che ha “fatto un torto” al quale è seguita una reazione (sproporzionata o non appropriata, certo, ma pur sempre) di difesa. Stiamo parlando di bambini ma spesso capita anche a noi “grandi” per cui in teoria possiamo capire! - Da grandi, infine, quando un tale sistema educativo si sarà sedimentato nel loro modo di pensare ed agire, come vivranno gli errori (inevitabili perché nessuno è perfetto)? Come interpreteranno le sanzioni (una multa per esempio) in cui incorreranno? Come saranno sentite le leggi dello Stato o i comandamenti di Dio? Una guida per vivere in pace con gli altri o l’ennesimo muro che rischia di crollare loro addosso se non stanno attenti? Nella mia (poca) esperienza ho trovato sufficiente spiegare con parole semplici gli errori e le ragioni di entrambi, chieder loro l’impegno di non farlo più, far fare pace con delle scuse reciproche (che sanano moltissimo!) e tutto riparte meglio di prima. Qualche tempo fa è accaduto un fatto per me molto tenero. Come già detto prima uso il maschile non necessariamente perché fossero due maschi i soggetti coinvolti nella dinamica. Due bimbi (A e B) seduti uno accanto all’altro di età poco differente. Volevano giocare nonostante non fosse il momento e li avessi richiamati già più volte. Ad un certo punto sento A piangere disperato: l’amico, più timido, gli aveva dato un bel morso… la mia collega, alla quale stavo affidando per le cure il malcapitato, si volta verso B e, con voce tonante, lo minaccia della punizione che si appresta a mettere in atto. Siccome in quel momento gestivo io i bambini glie lo sottraggo con una scusa e la tranquillizzo dicendole che lo avrei fatto sedere sulla sedia delle insegnanti. La povera creaturina era nervosissima: occhi sbarrati e semi-fissi a dispetto delle mani e delle gambe che non stavano ferme un attimo. Mi sono avvicinata in posizione più bassa della sua e gli ho chiesto più volte la ragione del gesto ma… nessuna risposta. Siccome è un’abitué delle botte ai compagni (e gli rendo merito che stava rarefando moltissimo gli episodi) gli ho ripetuto il mantra che fa male ai suoi amici in quel modo, che poi non vogliono più giocare con lui (è vero), che è un bambino in gamba ed è un peccato che si comporti così e via dicendo. Pian piano mi ha rivelato che… voleva solo giocare! Allora vai a fargli capire che i cagnolini e gli animali giocano mordendosi ma che i bambini giocano in un altro modo! …alla fine l’ho lasciato un po’ a riflettere sul senso dell’accaduto ed a fare una scelta su come avrebbe provato a comportarsi: mi avrebbe avvisata quando aveva “pensato”. Così è stato. Ha chiesto scusa ad A il quale le ha accettate ed ha coperto il morso fino ad allora lasciato esposto fuori dalla maglietta. Tutto guarito. Speriamo bene. Concludendo: cosa sarebbe servito “punirlo” per l’errore? Stava imparando! E’ una lunga strada che sta percorrendo e dove inciampa più o meno frequentemente. La mia collega mi mise in guardia che quel bambino dice le bugie: secondo me la paura fa mentire molto di più… Come “insegnante” il mio compito non è “insegnarti” soprattutto a conoscerti ed a scegliere? Diverso è forse il discorso se vedo che, deliberatamente, per sfida o cattiva intenzione fai del male… A me sembra di insegnare che “sei sbagliato” se ti punisco o ti ripeto sconsolata che “sei sempre il solito”! Dov’è la possibilità di evoluzione e miglioramento? Dov'è il sanzionare il gesto e non chi lo compie? …Non nego però che mi interessa conoscere le ragioni di chi usa il sistema delle punizioni: un confronto onesto penso che mi potrebbe aiutare moltissimo anche professionalmente. Grazie. [1] Perdonatemi: qui ed in tutti i post adopero il maschile secondo l’uso generico della grammatica italiana e non riferendomi o riportando il caso di un maschio piuttosto che di una femmina.

02/04/09

Giovedì 02 Aprile 2009
Cari tutti, riporto qui per intero (perché per me è importante farlo), un commento che ho lasciato su un blog che ho visitato di recente ad un post del 13/03/2009 intitolato "Dalla crisi della maternità alla questione filiale". “Caro Sudore&Pioggia, mi permetto di condividere con Te e con chi siede in questo cerchio con noi, ora, alcuni “ma…” in merito a quanto da te scritto. Chiedo scusa in anticipo per la lunghezza del testo. 1) Conosco molte donne (collaboratrici domestiche, sportelliste, segretarie, contabili, infermiere,…: impieghi comuni di medio livello…) che vivono il loro lavoro non come rivalsa sul maschile ma come sostegno per la loro famiglia. Forse per un osservatore esterno questo contributo non è economico come talvolta noi lavoratrici crediamo ma consiste più nel nostro benessere psichico che può derivare dall’impellenza di un’ulteriore espressione che non riesce ad esaurirsi tra le mura domestiche, dalla paura di essere un peso (…ed io ne so qualcosa) o di essere troppo dipendenti o ancora di “spegnersi il cervello” o buttare anni di studio pagati a caro prezzo dalla famiglia di origine… ma comunque alla base non c’è il conflitto o la rivalsa sul coniuge: c’è il “fare la propria parte”… forse questa scelta merita rispetto nonostante tutto. 2) E’ molto carina la storiella Zen di quel monaco che tutte le notti era tormentato da un mostruoso e pericolosissimo ragno con il quale ingaggiava un’estenuante lotta. Un giorno chiese aiuto al suo maestro che gli suggerì, al ripresentarsi del nemico, di prendere un pennello e disegnargli un cerchio sulla pancia… E la mattina seguente trovò un bel cerchio disegnato intorno al proprio ombelico!!! Talvolta temo che facciamo proprio così tutti quanti: carichiamo chi più ci è vicino di paure e proiezioni solo nostre. A seconda di come viviamo la coppia ed il lavoro domestico o fuori casa, il mantra sarà “stai a casa, i figli prima di tutto!” o “mantieni la tua indipendenza, cercati un lavoro”. La responsabilità di ciascuno, secondo me, è tenere ben ferma nella memoria e nella carne la traccia del proprio vissuto e cercare, nel limite delle nostre capacità, non solo di comprendere da dove viene, ma anche di sciogliere la catena e non scaricarlo a valle ripetendolo. Le famiglie di origine – come pure noi, se non ci prestiamo attenzione - resistono a qualunque cambiamento che vada in direzioni sconosciute o non sperimentate. E’ il “Chi lascia la strada vecchia per la nuova sa quello che lascia ma non sa quello che trova!” E’ un istinto di sopravvivenza che ha custodito la razza umana fino ad oggi. In realtà forse ciascuno deve solo avere la libertà di precorrere la propria strada, di sperimentarsi senza che questo gravi sugli altri. 2 ½) …Se una donna “si realizza” nella cura della prole non corre il rischio di riporre su di loro troppe aspettative, troppa l’attenzione? Diventa troppo il bisogno che quella dedizione porti frutto! E’ il frutto che io mi aspetto per sentirmi realizzata, perché quella mia “dedizione” non sia stata vana, non quello che la piantina di fronte a me può realmente dare… E quando i figli iniziano ad avere un fisiologico bisogno del loro spazio che rimarrà di quelle devote madri? Che sentimenti condiranno il nutrimento che porta in tavola la sera? Riuscirà a lasciare aprire le ali? O di qua e di là passerà più o meno criptato il “non mi lasciare sola, io ti ho fatto per me!” (che purtroppo ho sentito spesso dire alle madri di una volta che erano obbligate a stare a casa…) Forse a quel punto è meglio una madre un po’ meno presente ma che si realizza da se stessa… Io ho tentato di farlo tramite mio marito, e per fortuna che me ne sono accorta in tempo perché stavo sfasciando la mia famiglia. Non oso immaginare che succede se capita con un bambino! Per inciso: forse anche ai padri può capitare qualcosa di simile (penso a quelli che desiderano e/o premono più o meno apertamente perché la progenie imbocchi un corso di studio piuttosto che un altro o sposi una donna piuttosto che un’altra…) 3) Pensa che meraviglia se davvero fosse l’intera Società a prendersi carico dei bambini, a considerare se stessa (perché questo sono i bambini: noi stessi solo un po’ di tempo fa) un tesoro prezioso di cui avere cura: quello che io madre/padre non so o non posso darti non ti verrà a mancare perché ci saranno altri che lo sanno e lo possono fare… e così lo dono anche a me stessa. Forse sarebbe un volerci un poco più bene, no? 4) Esiste l’“istinto materno” inteso come quella spinta innata ed istintiva di ogni donna a prendersi cura della prole? Per la mia piccola esperienza la paternità e la maternità mi paiono più come stati mentali che non sempre vengono a ruota dopo il parto: non tutte le donne che vedo generare un figlio sono o sono-portate-per-essere madri. Capita, alle volte, che procreiamo solo per mettere una tacca nell’elenco delle esperienze di una vita o perché ci è capitato. Alle volte semplicemente scegliamo di non mettere le mani in quello che la creaturina appena uscita dalla nostra pancia porta fuori con sé. Non farlo forse è una scelta che, per quanto dolorosa per chi la subisce, va rispettata: a torto o a ragione ci mantiene sufficientemente in equilibrio. In questo senso trovo un’ipocrisia il “prima era più bello!” Penso alle epoche precedenti: c’erano i pedagoghi, le bàlie e le nutrici. C’erano delle nonne o zie o sorelle più o meno portate per l’accudimento dei pargoli che lo facevano per le donne che erano nei campi o alle feste. C’erano i collegi ed i conventi. Ci sono gli asili e le tate. Dov’è quindi lo scandalo? Provo a calarmi nei panni di una donna che (nel caso peggiore) ha semplicemente “la smania del successo” e che per caso o per esperienza è incinta: se fossi costretta a stare in casa a prendermi cura di lui/lei (“per colpa sua”) o abortirei finché mi è possibile o forse gli lascio una buona possibilità se trovo per lui/lei un ottimo asilo otto ore al giorno. Sempre meglio che una pessima madre (per giunta che magari va fuori di testa) otto ore al giorno! Magari quella pessima madre è un ottimo medico o un’ottima manager! 4 ½) Una cosa bella è che mi è anche capitato di incontrare degli splendidi Padri che riescono (seppure con la sofferenza di chi cammina con una gamba sola) a supplire all’assenza più o meno deliberata della moglie (che amano moltissimo) attingendo anche al loro istinto materno… Nonostante il pregiudizio delle altre donne i loro figli sono molto equilibrati. In fondo, forse, è la stessa sofferenza di quelle Madri che fanno anche da padre! 5) Mi rendo conto che, per una digiuna di bambini e dei loro meccanismi, trovarsi “madre”, sola in casa perché il marito è al lavoro, con la responsabilità di provvedere ad una vera e propria “idrovora di attenzione ed energie” deve essere traumatico. Chi può biasimarla se fugge a gambe levate lasciando la creatura a qualcun altro? Sembra di non poter staccare mai, che “se io non ci sono muore”: non lascia nemmeno il tempo per una doccia!... E poi quel pianto perfora i timpani e squarta la pancia. Riesce a sfondare la barriera del suono per non so quanto tempo con una forza ed una resistenza che non si capisce da dove vengano fuori visti i pochi centimetri di lunghezza! Mi sono fatta l’idea che sia la paura del bambino che viene fuori tramite le nostre labbra, come se fossero dei ventriloqui e noi il loro pupazzo. Tant’è ce ne facciamo risucchiare. Alle volte è per questioni organizzative, altre per inesperienza. Altre perché non si può accettare quel sano distacco che consente la lucidità: che ricorda a noi che dovremmo essere gli adulti, i “sopravvissuti” a quella originaria paura, che non siamo indispensabili. Che non si muore per 5’ di attesa o per un “no”. Che anche venti minuti di pianto per un desiderio non realizzato non uccidono nessuno se accanto a quella fermezza c’è l’accoglienza del dolore dell’altro. Forse sono questi i famosi “no” che fanno crescere di cui tanto parlano gli specialisti! Mi viene sempre in mente quell’espressione “medico pietoso non guarisce l’ammalato” che è ancora più chiara nell’accezione più colorita: “medico pietoso fa la piaga purulenta!” Le mamme sono trascurate: - io ero trascurata anche prima dell’arrivo dei figli o perché davo priorità ad altro o per motivi miei. I figli non credo che mi cambino in meglio… Forse possono diventare un alibi per la mia trascuratezza (ammesso che io la percepisca come tale)! - io mi curavo prima dei figli, era importante per me per essere in pace con me stessa, per amarmi. Forse ho “cambiato programma” e non sto più vivendo la mia vita ma mi sto immedesimando in quella di qualcun'altra dalla quale ho appreso l’equazione madre= trascuratezza! … ma non è affatto detto! Non credo che saranno i figli a non permettermi di amarmi perché non posso dare/insegnare ad altri quello che non ho/non so. Veramente ritengo che molto dipenda dalla mia intenzione… e poi i modelli della TV, delle passerelle e delle riviste non sono necessariamente quelli delle strade. Siamo noi che abbiamo il telecomando in mano, non viceversa… anche se - lo so - è istintivo e molto più comodo dare la responsabilità agli altri… L’importante è che io sia me stessa e stia bene con me stessa. A quel punto con gli altri tutto è un po’ più facile! 6) Infine eccomi. Io sono stata sia lavoratrice per altri, sia esclusivamente per la mia famiglia (=casalinga). Mi sono piaciute entrambe le fasi della mia vita. Erano ciò di cui avevo bisogno nonostante tutto quello che dicessero gli altri. C’erano tanta fuga e tanta paura nell’uno quanto nell’altro. In entrambi c’era errore, in entrambi ricerca. Entrambi sono stati “veri” e li difendo. Della dipendente di azienda ricordo la passione, la curiosità e la gioia che impegna anima e corpo di quando stai imparando una professione. Anche la stanchezza estrema. Ricordo le soddisfazioni professionali ed umane. Lo scoprire mie abilità non sperimentate. Ricordo la solitudine. Ricordo gli errori. Ricordo la mancanza di tempo per la riflessione, per la ricerca della mia identità al di fuori del ruolo. La fatica del gestire casa e lavoro, il senso di divisione. Da tutto questo - e da altro - la scelta di dedicarmi esclusivamente alla famiglia ed alla casa. Della casalinga ricordo la fatica e la soddisfazione della solitudine tra le pareti domestiche. Di quei muri che riflettono solo te stessa spogliandoti dei titoli, delle lauree e delle onorificenze guadagnate sul campo. Di fronte al negoziante di turno sei una persona come tutte le altre. Almeno all’inizio. Ricordo lo “spogliamento”, lo sparire del presunto “io” per conoscere e dare spazio al presunto “noi”. Ricordo la costruzione di una “casa” a partire da un appartamento. Di un vicinato a partire da semplici inquilini di condominio. Di una moglie a partire da una sposa. Ricordo con gioia lo sperimentarmi anche nelle arti miticamente ascritte alle nonne: cucina, cucito (e simili), cura. Certo, dopo un po’ il ripetere come una meditazione o una preghiera sempre gli stessi gesti offrendoli ai familiari ed a Dio ha cominciato a non bastarmi. La sensazione (l’errore) anche non coscientemente trasmessomi da mia madre e da mia suocera, era nell’attribuire al mio lavoro meno valore di quello che attribuivo al lavoro “esterno” del mio compagno di viaggio. Quell’errore che fa sì che dopo una lunga giornata di lavoro densa per entrambi, lui ha il diritto di tornare a casa e sedersi sul divano mentre tu ti senti il dovere di stare in piedi fino a tardi per cucinare, riassettare e stirare servendo tutti quanti. Perché loro sono tornati da fuori mentre tu sei stata a casa (!) tutto il giorno e potevi prenderti le pause quando volevi (!!!). (Per inciso ho letto tra i vari post qui lasciati che anche altre donne hanno vissuto la stessa esperienza. Mi dispiace per loro, ma sono contenta che sia stata riconosciuta per quella che è – un errore di valutazione - e condivisa). Con il passare del tempo è comparso ed è diventato imperante il senso di inutilità che, nonostante il sostegno di chi già c’era passato, non sono riuscita a sciogliere e mi ha spinta nuovamente a lavorare fuori casa. C’era un pezzo di me individuo che non era cresciuto precedentemente. Mi sono anche detta che cambiare attività non aiuta a sciogliere i nodi: me li ritroverò se sono “cose mie”. Ma così è andata. In fondo non fa male cambiare prospettiva per risolvere un puzzle: se sono arenata da questa parte magari di là trovo la soluzione! La Provvidenza mi ha offerto un buon compromesso tra la casa (che mi sarebbe mancata troppo) ed il servizio ad altri. Ammetto che, nonostante le mie paure, sta portando frutti buoni di presenza anche in famiglia. Sento tanto lo spessore e la sicurezza che mi ha portato l’esperienza di casalinga quando sono a servizio di terzi. Sento tanto lo spessore e la sicurezza in me nonché gli impulsi di novità che il lavoro conto terzi porta nella nostra casa. Finalmente inizia ad essere un soffitto con due pareti che stanno in piedi ciascuna per conto suo… e questo non è poco. Forse quell’io che credetti di lasciare non era un io e quel noi che credevo di costruire non era un noi. Trovare un equilibrio è il mio obiettivo ancora lontanissimo da raggiungere. Da lontano sempre una stella: “scito te ipsum”. Un abbraccio e grazie dell’ospitalità. Pulvis”

01/04/09

Mercoledì 01 Aprile 2009
Cari tutti, un altro mese è finito. E’ scivolato via tra le dita e nemmeno me ne sono accorta. Un altro mese è passato ed io sono ancora senza figli. O meglio, non sono ancora “madre”. Figli ne ho tanti e ne ho avuti tanti. Ma la sera tornano sempre dalle loro famiglie. Non sono io che preparo loro la cena. Non sono io che canto loro la ninna nanna o che me ne prendo cura quando hanno la febbre. Alle volte mi domando che senso dell’umorismo abbia Dio per avermi dato il talento di comprendere ed arrivare al cuore dei bambini e non avermi fatto il dono dei figli. E’ un talento molto scomodo, nella mia posizione. Direi che fa proprio male, a tratti. Anche perché non sempre posso agire con loro come farei con un mio figlio. A volte il dolore nel riconoscere un approccio controproducente da lontano e non poterci fare niente perché non è figlio mio e non ho titolo a dire alcunché, è lancinante. Mi sconforta perché mi domando che senso ha vederlo. Poi ci sono momenti in cui il dubbio prende il sopravvento e tutto diventa senza confini. Ondivago. Per molti anni ho cercato di stare lontana dai bambini nella speranza che le mie ferite avessero requie. Mi hanno cercata loro. Poi due inseminazioni artificiali fallite. Un lutto da impazzire per quelle creature… andate. Ho messo ancora distanza ma non c’è stato verso: ad un certo punto mi sono accorta che tutto era vuoto ed inutile se non potevo prendermi cura di bambini o anziani. Soprattutto bambini. Ho provato a fuggire ancora ma alla fine sono capitolata. Ed oggi mi sento ripetere con fiducia ed amore: “faccia Lei come se fossero suoi figli”. Grazie. … e mi ritrovo a supplicare Dio: ti prego, concedi a chi pensa di abortire o sente le proprie creature come un peso ed un fastidio di provare solo per un attimo questo desiderio di figli! Concedi solo per un istante di sperimentare la sete che non può essere placata a chi raggiunge l’acqua così facilmente... Concedi loro l’occasione di parlare con quelle coppie che per anni inseguono un’adozione o si sottopongono a dure inseminazioni… di conoscerne profondamente il dolore ed accorgersi di che bene prezioso hanno con loro. Quanto meno di accorgersi che hanno una risposta in mano! Non è che tutti devono avere il desiderio di prendersi cura dei figli. No... Solo, potrebbero lasciarli a quelli che -come me- senza figli possono essere realizzati sul lavoro ed in amore ma non sentono piena la propria esistenza! Potrebbero dare un’opportunità a quei bambini ed a noi… Forse non è spiritoso. Forse mi ha messo in questa situazione per poter pregare per questi miei fratelli. Signore, ascolta questa mia preghiera… Tu che sei Padre. Amen.